Love Life Peace: i colori del jazz secondo Gualazzi

La versione fisica dell’album si può scomporre e montare per formare un piccolo pianoforte in 3D. Una chicca, soprattutto in un’epoca in cui il CD vede sottrarsi terreno dall’mp3 e dal vinile. Ma Raphael Gualazzi, uno che trai vizi non ha esattamente quello di seguire la moda “tanto per”, è andato un po’ controcorrente e per Love Life Peace l’ha fatto.Forte del successone – forse inaspettato – del singolo estivo L’estate di John Wayne, il jazz man torna con un nuovo lavoro di inediti, all’interno del quale trovano spazio tantissimi stimoli musicali: si va ovviamente dal jazz, che la fa da padrone, passando per le atmosfere della bossanova in Buena Fortuna cantata insieme a Malika Ayane, le orchestrazioni di ispirazione morriconiana in Quel che sai di me e la psichedelia fusa al lounge della titletrack Love Life Peace & You, e ai suoni vintage analogici di Right To The Dawn.

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Tra le tracce più interessanti, Mondello Beach, un curioso esperimento che si rifà chiaramente al celebre jazz italo-americano introdotto di Nick La Rocca (la canzone è rigorosamente in dialetto siciliano-americano), e L’estate di John Wayne e Disco Ball, due “divertissment” come li definisce lui, che si rifanno a sonorità danzerecce e, nel caso dell’ultimo pezzo, alla disco degli anni ’80.

A proposito del singolo che quest’estate ha infiammato le radio, Gualazzi ci riconosce dentro una certa malinconia per un mondo passato, tra Fellini, Warhol e i figli delle stelle, ma anche la consapevolezza che sono proprio certi elementi cristallizzati nel tempo a rendere unico il panorama dell’Italia, proprio come i paesini rurali di certi film di Fellini.
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E riguardo al titolo, che scomoda termini tanto impegnativi, quelle tre parole sono state scelte perché sono tutto ciò di cui abbiamo più bisogno oggi, Amore, Vita e Pace.

BITS-RECE: Niccolò Bossini, Kaleidos. Un’iride pop-rock

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.

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Lo ha intitolato Kaleidos un po’ in omaggio a Poviglio, il paese in provincia di Reggio Emilia dove vive, e un po’ perché ha voluto metterci dentro un bell’impasto di colori. E in effetti il nuovo album di Niccolò Bossini ha le sembianze di una nuvola di polveri colorate, come quelle che ti si appiccicano addosso nelle color run, dove tutte le cromìe si mescolano tra loro in una grande festa dell’iride.

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A brillare più di tutto in Kaleidos è una forte vitalità, una sferzata di positività e di carica pitturata di un rock che strizza l’occhio all’elemento elettronico e non si dimentica di prendere per mano il caro vecchio pop.
Anzi, se non fosse un po’ troppo azzardato, si potrebbe dire che, avendo ben imparato e reinterpretato a suo modo la lezione dei Coldplay negli ultimi anni, di fatto Kaleidos è un album elettropop tendente al rock, perché le chitarre – ovviamente – ci sono e la loro figura la fanno alla grande.
Probabilmente non a caso per far conoscere il progetto al pubblico è stato usato come biglietto da visita La vita è adesso, una sorta di scatola musicale imbottita di dinamite pronta a saltare per aria apiena viene sfiorata. E di momenti così nel disco ne arrivano altri, alternati a ballate rockettare (si veda Piloti e supereroi, forse la prima vera ballad di Bossini).
Ma, come si diceva, oltre che per la musica il titolo Kaleidos rimanda anche all’omonimo centro polivalente di Poviglio, un punto di riferimento per il paese del reggiano, dove si concentra la vita dei suoi abitanti. È a quella realtà che Niccolò Bossini ha voluto rendere omaggio.

OnTheSet Festival: le iscrizioni aperte fino al 30 settembre

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Sono aperte fino al 30 settembre 2016 le iscrizioni alla prima edizione di ONTHESET FESTIVAL – LECCE 2017, organizzato dall’etichetta discografica Ontheset in partnership con il Comune di Lecce.
Il concorso è aperto a nuovi talenti con brani editi e inediti, di qualsiasi nazionalità e genere musicale e sarà diviso nelle seguenti categorie: Interpreti – Cantautori – Gruppi (con età compresa tra i 15 e i 36 anni) e Juniores (con età compresa tra gli 8 ed i 14 anni). Le selezioni si svolgeranno nelle città di Milano, Roma, Lecce e Catania, mentre la finale televisiva, divisa in tre serate, si svolgerà nello storico Teatro Apollo di Lecce, che tornerà a splendere dopo un lungo restauro.
Premio per il vincitore di ogni categoria un contratto discografico, la registrazione di un Ep, la realizzazione del videoclip del singolo, promozione su stampa, web e radio del circuito Earone.

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Lo show prevede l’esibizione di 14 artisti selezionati per la sezione “Interpreti – Cantautori – Gruppi” con il brano inedito presentato in fase di selezione, e di 6 artisti per la categoria Junior che duetteranno con un big del mondo dello spettacolo.
Inoltre la commissione selezionerà 12 Special Guest tra coloro che si saranno distinti per meriti artistici (in radio, sul web e sui social network) nel corso dell’ultimo anno.

La giuria sarà composta da professionisti del mondo della musica fra cui Antonio Vandoni (Direttore Artistico di Radio Italia e Radio Italia TV), Bruno Santori (Ex direttore artistico di Area Sanremo, dell’Orchestra Sinfonica di Sanremo e direttore musicale del Festival di Sanremo 2009), Antonio Irace (responsabile discografia Radio Kiss Kiss), Enzo Campagnoli (direttore d’orchestra al Festival di Saremo, vocal coach di Amici e Pequenos Gigantes), Marco Vito (vocal coach di Ti lascio una canzone, The Voice of Italy, protagonista dell’Opera Giulietta e Romeo di Riccardo Cocciante). Altri grandi e importanti personaggi dello spettacolo si aggiungeranno alla giuria.

Tutte le informazioni sono disponibili a questo link.

#MUSICANUOVA: Thegiornalisti, Completamente

«Completamente è forse la prima canzone che ho scritto contro qualcosa, contro qualcuno. È il mio grido di ribellione contro il risparmio dei sentimenti, contro chi calcola pure la virgola nei rapporti umani, banalmente nell’amore. È come se mi fossi fatto paladino di chi rischia, soffre e alla fine pure perde. Ma almeno te l’ho detto, la mia coscienza è pulita. Mi sono sputtanato e tu come sempre hai avuto paura di essere travolta dal ciclone e te ne sei andata. Ce l’ho con quelli che stanno sempre con il bicchiere in mano per tutta la serata ma non bevono mai. Noto in questi tempi la vittoria del freno a mano. Noto in questi tempi la vittoria del freno a mano, dello “scopare” su whatsapp per poi fallire miseramente nel faccia a faccia. Ecco, io non amo tenermi. E faccio fatica ad apprezzare chi lo fa. Questo è il senso profondo del nostro romanticismo, delle nostre canzoni, dei Thegiornalisti. Completamente.»

Così Tommaso Paradiso parla di Completamente, il singolo che apre il nuovo capitolo discografico dei Thegiornalisti, in arrivo prossimamente.

Un vortice in testa, pugno e carezza, semplicemente stupendo.

Sfera Ebbasta, l’importanza di (non) essere rapper

Ciabatte di gomma e calze bianche, un paio di (finti) denti d’oro, capelli rossi e occhiali Gucci: Sfera Ebbasta non è un rapper e quello che fa non è rap. Lo ripete lui stesso più volte durante l’incontro con la stampa tra le pareti della Universal per presentare il suo nuovo lavoro.

O meglio, magari rapper lo è per quelli che ascoltano “quella musica”, perché in fondo è più semplice parlare di rap e rapper, ma lui in quella figura non ci si sente. Il nuovo album, che poi in realtà è il primo disco ufficiale, perché il precedente XDVR era stato rilasciato in free download sul suo sito, arriva sul marcato sotto i marchi della più potente major mondiale e di Def Jam, label americana specializzata in hip hop e r’n’b che da poco si è aperta anche al mercato italiano (se si esclude una breve parentesi intorno al 2000).

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Il disco si intitola semplicemente Sfera Ebbasta e come in passato vede la produzione del compagno di avventure Charlie Charles: “Il lavoro tra me e Charlie è diviso perfettamente a metà: le sue basi senza i miei versi non sarebbero un cazzo e i miei versi senza la sua musica non sarebbero un cazzo”.

Tra le note di prestigio del progetto, il featuring con SCH in Cartine Cartier, superstar del rap francese: “È stato lui a contattare me, e faccio fatica a rendermi conto che tutto questo stia succedendo”.

Sfera Ebbasta racconta tanto della periferia di Cinisello Balsamo (si veda alla voce Ciny), grande comune a nord di Milano dove Gionata Boschetti è nato e cresciuto, ma parla anche d’amore, naturalmente secondo la visione di un ragazzo di 24 anni che non si dedica esattamente al pop.
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Il motivo per cui Sfera non si sente fino in fondo parte della scena rap italiana è che lui non fa semplicemente rap, ma trap, un sottogruppo del genere che in Italia non è mai stato particolarmente seguito o comunque non ha mai raggiunto certi livelli di notorietà: “La scena rap italiana era ormai tutta fatta da copie di copie di copie, tutti i rapper erano indistinguibili uno dall’altro. Poi siamo arrivati noi, siamo esplosi, e adesso tutti vogliono fare quello che facciamo noi, diventando così nostre copie. La nuova scena di cui faccio parte non rientra nel rap perché non ha quelle ideologie, non cerchiamo la rima a tutti i costi nei testi e anche nel look non cerchiamo una determinata immagine, tutto cambia: anni fa chi faceva rap si distingueva perché andava in giro ci i pantaloni larghi, oggi saranno 10 anni che non vedo un rapper vestirsi così”. 

Qualcuno vedendo la tracklist si è chiesto come mai nel disco non ci sono i featuring con i grandi nomi dell’hip hop italiano – primo fra tutti Marracash, fondatore di Roccia Music, il collettivo di cui Sfera fa parte – e come mai vi sia un numero così ridotto di canzoni, un po’ anomalo per un album rap: “Questa è la tipica mossa del rapper medio italiano: ti guadagni un po’ di notorietà e allora per far vedere che sei arrivato nel disco ci metti i featuring con quelli più grandi. Questo forse era quello che il pubblico si aspettava, e proprio per questo non l’ho fatto. Non sono un rapper, sono un’altra cosa. I featuring con i grandi arriveranno, adesso voglio che chi compra quest’album lo faccia perché sono io, non per il nome dell’ospite. Per quanto riguarda il numero delle tracce, ho preferito pubblicare meno canzoni piuttosto che fare un disco di cui non fossi davvero soddisfatto. Questo è il mio disco, sono io che decido, nessuno può dirmi cosa devo fare”.

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Certo il coraggio e la sicurezza di sé sono virtù che non gli mancano, come quando ammette candidamente di non essere portato per lavorare, doversi alzare ogni mattina e sentirsi dire cosa fare, ma di aver considerato la musica il suo unico obiettivo.

Ma oggi che ha pubblicato un album con una major, che i ragazzi per strada lo riconoscono, che i suoi video fanno milioni di visualizzazioni su YouTube, nella sua vita va tutto liscio? Non sono arrivati anche nuovi problemi?
“Beh, more money, more problems, come dice Jay Z. O forse non era lui?”
“Era Notorious”, lo corregge una giornalista in sala.
“Ah già, Notorious! Ecco, lo vedete che non sono un rapper?”

BITS-CHAT: Sognare, sognare, sognare. Quattro chiacchiere con… Gerardina Trovato

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La prima volta che l’Italia ha conosciuto Gerardina Trovato era il 1993: saliva sul palco di Sanremo tra le Nuove Proposte e cantava Ma non ho più la mia città. Una canzone di sogni e illusioni infrante, di una ragazza costretta ad ammettere alla sua città, Catania, si starle stretta, e che quindi saliva su un treno verso Roma, l’America, ma prima di tutto verso la musica. Parole interpretate con una forza viscerale che poche altre volte capita di ascoltare. Una forza viscerale che avremmo imparato a riconoscere in tutte le sue canzoni.

Il brano si piazzò secondo, dietro solo alla Pausini e il suo Marco che “se n’è andato e non ritorna più”.
Nel 1994 Gerardina Trovato è tornata a Sanremo con Non è un film, un brano di denuncia sugli orrori della guerra in Bosnia, e poi ci è tornata ancora nel 2000 con Gechi e vampiri. Tra un festival e l’altro, collaborazioni importanti (Vivere, incisa con Andrea Bocelli, ed E già insieme a Renato Zero), poi la partecipazione a Music Farm nel 2005, l’EP I sogni nel 2008 e nel 2011 una partecipazione nel brano I nuovi Mille del rapper napoletano Lucariello.

Poi il silenzio. Un silenzio quasi forzato per una malattia di cui solo recentemente ha scelto di parlare: una brutta depressione che le impediva di uscire di casa, comunicare con la gente, ma non di dedicarsi alla sua musica.

In questi anni infatti Gerardina ha scritto tanto e oggi ha voglia di tornare a farsi ascoltare. 

Il brano che rompe questo silenzio e segna il suo ritorno si intitola Energia diretta ed è l’apripista di un progetto discografico più ampio.
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Cosa ti ha ispirato a scrivere questo nuovo singolo?
Quando scrivi una canzone non ci deve essere per forza qualcosa che ti ispira: semplicemente, le canzoni vengono e basta, e così è stato per Energia diretta. Ho scritto tanti nuovi brani: ho scelto questo perché è piuttosto radiofonico, e parla d’amore. In passato ho mai scritto d’amore, lo sto facendo adesso.

Nel difficile periodo che hai vissuto in questi ultimi anni, c’è stato un momento in cui hai avuto paura di non riuscire più a tornare alla musica?
Sì, c’è stato questo momento: ero spaventata all’idea di non poter più scrivere e cantare. Per me fare musica vuol dire vivere.
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Hai mai pensato a come sarebbe stata la tua vita senza musica?
No, mai, mai! Ho incontrato la musica già da bambina.

Quali sono stati i tuoi primi passi nel mondo della musica?
Con mia mamma: mi ha presentato alle selezioni per lo Zecchino d’oro, mi faceva cantare le canzoncine. Però non ho partecipato al concorso perché sono sempre arrivata solo in semifinale.

E di Sanremo invece che ricordo hai?
Un ricordo molto bello, soprattutto dell’ultimo, quando ho cantato Gechi e vampiri: ero me stessa, mi sentivo bene, era la terza volta che partecipavo per cui ero abituata a quella situazione. Avevo una canzone diretta, semplice ma non banale. Ho vissuto tutto come una passeggiata.

Nessuna preoccupazione per la gara?
No, assolutamente no! La paura l’ho sentita davvero nel secondo Sanremo che ho fatto, quando ho cantato Non è un film, perché era la prima volta che cantavo tra i big, e allora c’era lo stress, sentivo la competizione.

E che sensazione hai avuto invece quando ti sei presentata tra le Nuove proposte?
Di essere su un palco così importante non mi importava niente: io aspettavo solo il mio turno per cantare e quando stava per arrivare il verdetto per scoprire se ero passata non vedevo l’ora di andare a cena perché avevo fame. Ero giovane, era l’incoscienza che mi faceva vivere tutto così.

In alcune tue canzoni del passato – Sognare sognare, I sogni, ma anche Ma non ho più la mia città – si parla di sogni: oggi ai sogni ci credi ancora?
Si, certo che ci credo ancora! In questo momento sono concentrata solo sulla mia musica, e spero tanto che questo nuovo singolo vada bene, e che la gente abbia voglia di ascoltarlo.

Secondo te perché per un personaggio pubblico è difficile parlare delle proprie difficoltà? Da parte del pubblico c’è paura?
No, non penso sia per quello. Semplicemente, si tratta di questioni personali, che non devono per forza essere rivelate al pubblico. Chi affronta un momento di difficoltà vuole stare da solo. Oggi sui social tutti tendono a raccontare ogni aspetto della propria vita, ma io non sono d’accordo. Sono molto riservata su ciò che riguarda il mio privato.

Per il futuro cosa stai preparando?
Uscirà probabilmente un disco con alcuni inediti e dei vecchi successi riarrangiati, ma non so ancora quando. Per ora mi concentro sul singolo.

Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: cosa significa per te il termine “ribellione”?
La ribellione è la ribellione, come faccio a spiegartela?

Ma tu ti senti una ribelle?
Io sì, lo sono sempre stata.

BITS-CHAT: Imparare dal dolore. Quattro chiacchiere con… Antonella Lo Coco

La delusione che si trasforma in forza dopo la fine di una storia fatta di bugie. Parla di questo Non ho più lacrime, l’ultimo singolo di Antonella Lo Coco.
Un brano potente, che segna una virata verso sonorità rock, dopo i variegati colori pop dei suoi primi album. Ma Non ho più lacrime è anche il primo frutto dell’incontro tra Antonella e Fiorella Mannoia, che del brano ha scelto di curare la produzione.

Un brano che mette al centro il dolore, ma che si conclude con una dichiarazione di libertà. Perché dal dolore si impara sempre.
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Non ho più lacrime nasce dall’incontro con Fiorella Mannoia: come siete entrate in contatto? E come si è sviluppata l’idea di dar vita prima a questo singolo e poi all’album, che vedrà proprio la produzione di Fiorella?
Siamo entrate in contatto alla finale di X Factor nel 2012..in quell’occasione duettammo su una sua canzone. Successivamente Fiorella mi contattò perché aveva una bramo che riteneva perfetto per me: ci incontrammo per ascoltarlo insieme e da lì iniziammo il progetto. Proseguire oltre il brano è stata un’idea nata spontaneamente per dare una continuità al primo singolo. Sono felice di avere questa opportunità di lavorare con Fiorella e il suo team di lavoro soprattutto perché lavoreremo anche su alcuni brani da me scritti.

Il singolo sembra aprire un nuovo capitolo anche per quanto riguarda i suoni, che dal pop si spostano su un versante più rock: è così? L’album avrà questo taglio?
Assolutamente si. Le sfumature rock sono sempre state in me e finalmente posso tirare fuori al mia anima musicale. L’album è ben rappresentato dalle sonorità di Non ho più lacrime.

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Quali artisti, italiani e internazionali, vedi come punti di riferimento?
Negli anni i punti di riferimento sono cambiati e sono tanti. Gli spunti internazionali hanno influenzato molto la mia scrittura, ho sempre ascoltato molto Tori Amos, i Depeche Mode, i Muse.

Credi che sia vero che il tempo aggiusta le cose e cura dal dolore?
Credo che il tempo aiuti a essere più lucidi per poi affrontare le situazioni che la vita ci pone davanti. Ci sono vari tipi di dolore: il dolore per la fine di una storia d’amore è destinato a finire e a svanire con il tempo, il dolore per la perdita di una persona cara credo possa attenuarsi, ma mai finire.

In genere come ti poni di fronte alle situazioni dolorose: le affronti, pur sapendo a cosa porteranno, oppure cerchi il più possibile di evitarti di soffrire?
Il mio carattere e la mia indole istintiva mi portano sempre a prendere di petto tutte le situazioni, positive e negative, e quindi a vivere le emozioni fino in fondo nel bene e nel male.

Per quella che è stata la tua esperienza, cosa hai imparato dalle esperienze dolorose? Il dolore è in qualche modo terapeutico?
Le esperienze dolorose insegnano sempre qualcosa. Non credo che il dolore sia terapeutico, ma dal dolore si può imparare.

Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: cosa significa per te il termine “ribellione”?
Il mio soprannome da sempre è Ribella, quindi direi che di ribellione ne ho masticata. Una ribellione adolescenziale sana e costruttiva che mi ha sempre portato a raggiungere i miei obiettivi.

BITS-CHAT: La mia semplice complessità. Quattro chiacchiere con… Nesli

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“Ma se io mi ricopro di tatuaggi e mi faccio fotografare in copertina mezzo nudo, voi la mia musica la ascoltate?”

Nesli questa domanda l’ha buttata lì così, nel bel mezzo della chiacchierata. Una domanda che ha posto direttamente lui e che non può non lasciare stupiti, sorpresi, interdetti per la sua schiettezza. In effetti che i tatuaggi sul corpo di Nesli siano prolificati a dismisura negli ultimi due anni non è certo un dettaglio, lo si era già visto l’anno scorso a Sanremo, e lo si vede oggi sulla copertina del nuovo album, Kill Karma, dove Francesco Tarducci si è fatto ritrarre sfacciatamente a torso nudo, con il torace completamente ricoperto di inchiostro e i due medi alzati con le mani che tengono ben aperta la giacca rossa.

Ma come – direte – non era lui il rapper buono, quello che “il bene genera bene”? E adesso ci si presenta così spudorato? Sì, è lui, e che il bene genera bene lo crede ancora, oggi come ieri. E allora perché questa copertina? Narcisismo? Mah, forse un po’, dopotutto a Nesli si possono muovere tutte le critiche di questo mondo, tranne quella di non essere un brutto figliolo e di non potersi permettere di fare bella mostra del proprio corpo. Ma il gioco sta proprio qui, nel voler fare quasi mercificazione del “contenitore” per far arrivare la musica. Una verità che governa le regole del pop da sempre – quasi alla pari tra uomini e donne – ma che molto raramente viene rivelata con tanta limpidezza.

Nesli però è così, ti spiazza: tu credi di avere davanti un qualsiasi cantante piacione e ti ritrovi invece a parlare con un sorta di un animaletto selvatico. Come quando ti dice che il suo album precedente (Andrà tutto bene) era un disco che aveva quasi “dovuto” fare, perfettamente consapevole che non lo rappresentasse fino in fondo, perché nella sua testa c’era già l’idea di Kill Karma, il secondo capitolo di una trilogia che si concluderà verosimilmente l’anno prossimo: in Kill Karma Nesli ha voluto uccidere se stesso (il suo karma), togliere ti mezzo definitivamente il rapper per far posto al cantautore. Ma per arrivare a questo punto ha dovuto passare per la strettoia di Andrà tutto bene, con la partecipazione a Sanremo.
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Cosa è successo tra Andrà tutto bene e Kill Karma? Il cambiamento è evidente…
In passato ho sempre scritto con gli occhi degli altri, in questo caso invece ho scritto con i miei occhi, tutto è riconducibile a un fatto, un giorno, un nome. Mi piace far credere di fare tutto a caso, ma in realtà niente è lasciato al caso: ho voluto che questo album arrivasse dopo il libro perché già nel libro mi ero raccontato attraverso la scrittura, ora lo faccio attraverso la musica. Ho anche già pensato al prossimo disco, quello che chiuderà la trilogia: sarà molto visivo, fumettistico, ho già pensato alla grafica e alla copertina, e ci sono almeno sei o sette pezzi pronti. Lo lancerò in maniera particolare: mi sono inventato un alter ego che ucciderà definitivamente Francesco Nesli Tarducci, che da quel momento non esisterà più. Ho una visione molto dark e maledetta di questo progetto, e ho dovuto renderla pop il più possibile.

In un’epoca in cui si ragiona per singoli, tu pensi a una trilogia?
Io sono nato in un periodo in cui si pensava per trilogie, basta pensare al cinema. Oltre alla musica non ho altri impegni o altri passatempi, per cui passo il mio tempo a immaginarmi tutti i dettagli dei dischi, penso alla pubblicazione. Oggi invece mi sembra che tutti siano interessati alle visualizzazioni su YouTube, come se quello fosse il metro per capire se sei un artista di successo: ma se un giorno YouTube si spegnesse, cosa resterà di questi giovani artisti illusi di fare successo in questo modo? Io scrivo tutto su carta e registro subito dopo con un giro di piano. Di tutto quello che faccio resta traccia, non dipendo dai server: vivo nell’era digitale, ma sono passato dall’analogico.
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Nel 2013 avevi già portato un cambiamento forte: mentre tutti andavano verso il rap, tu con Un bacio a te e poi con l’album Nesliving vol. 3 facevi il percorso opposto. Perché allora hai sentito il bisogno di cambiare ancora?
Il karma del titolo indica un cambiamento fisico: non si tratta di un cambiamento musicale, ma di un cambiamento di materia e di materiale, perché il cambiamento musicale c’era già stato.

Ultimamente sul tuo corpo sono comparsi numerosi tatuaggi: anche questo fa parte del cambiamento?
È una provocazione: sapevo che avrei fatto questo disco con questa copertina. Non mi sono tatuato perché mi piacessero i tatuaggi, sono rimasto della stessa idea che ne avevo prima. Di solito chi si tatua lo fa per abbellirsi: io invece mi sono ricoperto di nero in maniera quasi indecente, mi sono rovinato. L’ho fatto a 35 come follia: per avere attenzione serve un bel contenitore. E allora se io mi tatuo tutto e mi metto mezzo nudo, mi ascoltate? Vi accorgete di me? Dentro di me la risposta è stata sì, la nostra società vuole questo. Volete questo da me per ascoltare il mio contenuto? Benissimo, lo faccio.

Una considerazione un po’ amara…
Amarissima.
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E se tra 10 anni ti guardi allo specchio e ti penti di questa scelta?
Mi sono pentito di tante cose che ho fatto. Questa è stata una scelta drastica, ma in fondo ogni scelta lo è: in questo caso è molto visibile perché mi sono deturpato il corpo, ma ogni scelta implica un cambiamento, un non poter tornare indietro. Potrei pentirmi di questi tatuaggi, così come potrei pentirmi di molte altre decisioni che ho preso, si tratta sempre di un sentimento, una sensazione. Per me i tatuaggi sono come le uniformi militari: chi sta in esercito ha una divisa, chi sta in marina ne ha un’altra. Anch’io ho cambiato guerra: nel 2013 dovevo portare un cambio a livello musicale, oggi cambio rotta in un altro senso. Sono un artista, un folle, e come tale faccio delle scelte folli, radicali.

Una forma di follia che io stesso non avevo colto molto bene ascoltando le tue canzoni, ma che emerge ora dalle tue parole….
Ho sempre dovuto e voluto tenerla a bada, non potevo propormi così fin dall’inizio. Dentro di me vive una schizofrenia che mi fa avere davvero tante personalità: per me essere bipolare è una specie di antipasto, io di personalità ne ho molte più di due, tutte distorte, diverse, e nel tempo non ho voluto fare niente per aiutarmi. Anche nella musica mi vedo come un prisma con tante facce, e non mi sono mai venduto per qualcosa di diverso da ciò che sono. Cantante, cantautore, rapper: sono tutto, e forse non sono niente, ma questo per me è un dono del cielo.

In questa schizofrenia sta anche la scelta di aver messo come prima traccia dell’album una canzone come Anima nera? Tu eri quello che fino all’anno scorso cantava che “andrà tutto bene”, che “il bene genera bene”. Spiazzante, direi!
In realtà sono due aspetti complementari, non possono esistere uno senza l’altro. Il mio “bene genera bene” passa attraverso le tenebre: in questo sono abbastanza un darkettone ottimista. I miei amici dicono che sono il principe delle tenebre e quando c’è troppo sole scherzano e mi chiedono di concentrarmi per far venire il brutto tempo. Sono un po’ come Carletto, il personaggio del cartone animato. Ma non potevo presentarmi da subito in questa veste “diabolica”, doveva esserci un percorso. Sono partito dal rap senza avere neanche un tatuaggio, adesso faccio pop e mi sono tatuato come uno che fa punk: un percorso affascinante direi. Sono io, nella mia semplice complessità.

 

Prima parlavi del terzo album della trilogia come di un progetto molto grafico: a livello fisico invece ti spingerai ancora oltre?
Il cambiamento radicale dei tatuaggi c’è già stato, ormai restano poche parti del mio corpo che potrei riempire, e vorrei evitare di tatuarmi le mani, il collo e la faccia: sarebbe davvero troppo e darebbe fastidio anche a me. Al di là dei tatuaggi però, il prossimo album sarà il mio paradiso dantesco, con una libertà espressiva che non mi sono mai preso finora. Ho anche un pezzo da presentare a Sanremo: ditelo a Conti!

In Kill Karma quanta libertà ti sei preso rispetto ad Andrà tutto bene?
Nel disco precedente mi sono auto inflitto una non-libertà: era una tappa obbligata che dovevo attraversare. Per me cantare è una passione, ma è anche un lavoro che implica delle dinamiche. Sapevo dove volevo arrivare, ma per farlo sapevo anche di dover passare per gradi, e non aggirare gli ostacoli come è mio solito: una di queste tappe è stato Sanremo, dove ho mostrato il primo cambiamento, mi sono staccato definitivamente dal pubblico di prima e dalla scena rap. Arrivavo da Carosello, un’etichetta indipendente, Universal mi aveva ripreso dopo avermi licenziato nel 2008, per cui per la major era come ammettere  un errore e tornare sui propri passi. La pressione che avevo addosso era altissima. Con Sanremo dovevo limitare il Nesli maledetto: Andrà tutto bene è stato realizzato in otto mesi con una squadra che non conoscevo e al cui interno c’erano delle incomprensioni, sentivo che una parte dei collaboratori non credeva in me. Dalla mia parte avevo il mio produttore, Brando, che mi spronava a continuare il lavoro perché avevamo tempi strettissimi prima di Sanremo: avrei voluto sparire, morire. Sentivo gli occhi di tutti addosso, sapevo che molti aspettavano il mio fallimento. Inoltre, Buona fortuna amore l’ho provata pochissimo prima del festival, in studio non avevamo tempo e a casa non riuscivo: la prima prova sul palco è andata malissimo perché a Sanremo si usano gli ear monitor e io non ero abituato, poi in qualche modo mi sono arrangiato e l’ho cantata, non bene come avrei potuto, ma è andata. Per Kill Karma è stato tutto diverso, non avevo i fucili puntati, non c’era Sanremo come tassello obbligato e il disco è stato fatto come volevo io. 

Se pensi alla tua vita fino ad oggi, qual è stato il più grande errore che hai compiuto?
Ne ho fatti davvero tanti: quando c’era da scegliere, io sceglievo puntualmente di fare una cazzata, non saprei dirti perché. Non so neanche se non li rifarei, forse semplicemente li affronterei in maniera meno istintiva. Una cosa che dico sempre ai ragazzi è quella di portare avanti le proprie idee, mi piacciono le persone con le idee chiare, anche a costo di intestardirsi su un unico pensiero. Non penso che per forza si debbano fare mille esperienze: non è facile trovare persone che sanno quello che vogliono senza sentire il bisogno di aver provato tutto.

Che opinione hai dei ragazzi di oggi?
Quasi tutti i giovani se ne vogliono andare all’estero, e a me viene da dire “ma dove andate tutti? Perché ve ne andate? E qui chi resta? Solo i disillusi, quelli che non votano?”. Se mi dicono di andare all’estero, io dico no, resto qua: se andare via significa evoluzione, io preferisco l’involuzione. Non ho nemmeno il passaporto! Ho viaggiato pochissimo, e mi sembra che i ragazzini di 14 anni abbiano viaggiato più di me, eppure del mondo non sanno nulla, non conoscono più di quanto non potrebbero conoscere attraverso le foto di Instagram. Nelle situazioni, il segreto non è esserci, ma starci. Mi piacerebbe vedere giovani che imparano i veri mestieri, a fare gli artigiani, a restare legati alla vita vera.
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Ti riferisci anche all’ambito musicale?
Non dobbiamo pensare di avere tutti il sacro fuoco dell’arte che ci brucia dentro. Tutti vogliono fare i cantanti, gli attori, le modelle, i broker, mentre nessuno vuole più fare il macellaio o il panettiere: e come mangiamo? In questo sono molto estremo, non si può instillare nei giovani l’idea che tutti possono fare gli artisti. Stiamo costruendo un mondo finto: tra cinque anni i social saranno modificati profondamente, tutto si sarà trasformato unicamente in business. E i ragazzi non lo sanno, nessuno glielo dice.

Se nella tua vita non ci fosse stata la musica, come l’avresti riempita?
Sarei stato un viaggiatore.

Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: cosa significa per te il termine “ribellione”?
Ribellione è stare fermi e riuscire a cambiare ciò che sta intorno. Ribellione è qualcosa di solido, silenzioso, fermo in una piazza, capace però di creare una manifestazione esterna.