Look What You Made Me Do: Taylor Swift, Katy Perry e la noia

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Fino a qualche anno fa Taylor Swift era solo una cantante biondina e col faccino pulito che vendeva vagonate di milioni di dischi (in America soprattutto) facendo country, senza per giunta eccellerne.

Andava tutto liscio, nessuno rompeva le scatole a nessuno, fino a quando Kanye West – eravamo ai VMA del 2009 – non ha fatto l’imperdonabile errore di salire sul palco per interrompere il discorso di ringraziamento di Taylor: lei si era appena aggiudicata il premio per il miglior video femminile con You Belong With Me battendo tra gli altri Beyoncé candidata con Single Lady, che secondo il rapper sarebbe stata la legittima vincitrice.
Ovviamente, la figura dell’imbecille in quell’occasione l’ha fatta West e la Swift è passata agli occhi di tutti come la poverina che si è vista violare la scena dal collega sbruffone. Il momento è rimasto naturalmente negli annali di MTV come uno dei più trash e iconici di sempre.

Non sono passati molti anni ed ecco che ha insediare il regno di marzapane di Taylor ci ha pensato un’altra collega, questa volta proveniente dalle schiere del pop: Katy Perry. Nessuno scontro diretto tra le due, ma tante allusioni lanciate e distanza su Twitter, infilate nelle interviste o messe di traverso in mezzo ai versi delle canzoni. Il tutto pare essere partito da un “prestito” di tre ballerini chiesto da Taylor a Katy in vista della tournée, salvo poi accusare la collega di voler sabotare i suoi concerti quando quest’ultima ha richiamato i collaboratori tra le sue schiere. Da lì si sarebbe generata una serie infinita di malignità, cattiverie e pettegolezzi reciproci.
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Ed è stato così che l’immagine fino a quel momento immacolata di Taylor (la “regina George”, come l’avrebbe apostrofata la Perry in un tweet, riprendendo il nome di un personaggio di Mean Girls) ha iniziato a macchiarsi di ombre e la cantante si è fatta la reputazione di una viperetta mordace. Per tutta risposta – ed eravamo nel 2014 -, nell’album 1989 lei si è difesa con Bad Blood, in cui prendeva di mira un misterioso avversario. Ad accompagnare il brano, un video corale per il quale Taylor ha chiamato a raccolta uno squadrone di celebri amiche, come a sottolineare che dalla parte della ragione c’era lei, con tutte le sue compagne pronte a difenderla.
Il tutto si è trascinato fino ad oggi, con l’uscita di Look What You Made Me Do, singolo anticipatore dell’album Reputation. Non solo il titolo del disco, il testo del brano e le ultime mosse promozionali, ma anche il nuovo video, tutto pare ruotare attorno agli attacchi degli avversari (mai apertamente nominati) e quindi al bisogno di Taylor di difendersi o almeno contraccambiare. E visto che passare da vittima rischia a volte di rivelarsi un boomerang, ecco che la Swift vira all’elettropop, si sfila la chitarra (già comunque appesa al chiodo da qualche anno), e nel video si mette addosso un po’ di latex, marca i colori del makeup e si circonda di serpenti. “Dite che sono una vipera? Sì, avete ragione, e mo so’ cazzi vostri”, sembra essere il sottotesto dell’operazione.
Una strategia che – lungi dal brillare per originalità – almeno per ora sembra pagare molto bene: lo dicono i 28 milioni di visualizzazioni del video nel primo giorno e i numeri di debutto in classifica del singolo, roba che non si vedeva da anni.
E non importa se dell’artista country degli esordi non resta niente (“La vecchia Taylor è morta”, lo dice lei) e quella di oggi preferisce fare il verso sexy a Madonna, Gaga, Christina e Miley: quello che conta è prendersi la scena e tenersela stretta con le unghie e con i denti, possibilmente buttando polvere addosso agli altri.

È il solito gioco del pop, dopotutto, con la differenza che mentre le altre lo fanno con le loro forze, la Swift calca la mano sulla presunta guerra che le sta muovendo contro il mondo intero.
Non sappiamo ancora cosa ci sarà nel nuovo album, ma mi chiedo esattamente dove voglia andare a parare questo teatrino e quanto potrà durare ancora. Forse sarebbe il caso di ricordare a Taylor che l’universo non è un gigantesco occhio di bue puntato su di lei e non vorrei che a lungo la ragazza si ritrovasse a combattere una battaglia contro un avversario che nel frattempo si è girato dall’altra parte.
Le vere faide tra primedonne sono un’altra cosa, e la storia dello spettacolo, con i suoi esempi celebri, lo testimonia.

Dai Taylor, neanche Madonna e Lady Gaga hanno fatto tanta caciara, perché devi farlo tu? Lo sbadiglio è dietro l’angolo, io te lo dico.

BITS-RECE: Alessandro Ragazzo, New York. Solitudine e immensità

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
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New York è molto più di una città, lo sappiamo, ce lo hanno insegnato i libri, i film, le canzoni. New York è l’incarnazione del caos, del ferro e del cemento, è il centro del potere, il punto in cui converge l’infinito. Un luogo dove l’ideale si fa realtà, il sogno acquista forma, la libertà sventola la sua bandiera più alta.

Tutti, anche chi non ci ha mai messo piede, si sono fatti un’idea di New York, e per quanto la sua skyline sia arcinota, ognuno ha della Grande Mela un’idea personale, perché New York è davvero così, parla milioni di lingue, palpita in milioni di ritmi, si fa guardare sotto milioni di angolazioni.

Non stupisce quindi trovarne un’ennesima – stupenda – interpretazione nel secondo EP di Alessandro Ragazzo, giovane cantautore veneto, che aveva già dato un’ottima prova d’esordio con Venice, EP dedicato a Venezia, ritratta nei suoi lembi notturni e malinconici.
È una mano gentile quella di Ragazzo, nella musica come nei testi, capace di dar forma a racconti intimi e riservati, svelando le emozioni più fragili e le sensazioni più personali. Ed infatti, quella che emerge nei quattro brani del disco è una New York forse inedita, che solo gli occhi più attenti riescono a vedere: Ragazzo ne raccoglie i respiri più leggeri e uggiosi, la racconta negli angoli silenziosi e lamentosi, che sono poi quelli dell’anima. Anzi, New York diventa un pretesto per far vibrare le corde interiori.
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In uno sfumato incontro tra pop, rock e indie, la partenza con Freckles è quasi commovente, mentre subito dopo The King Came incombe tra desolazione e austerità. In mezzo a increspature di synth e chitarre, New York si staglia immensa e immobile, fredda sotto a un cielo grigio. Ma anche minacciosa, paurosa.

Pochi, pochissimi luoghi al mondo sanno essere tanto crudeli e ospitali come New York, metafora grandissima della natura dell’uomo.
Quello che ne fa Alessandro Ragazzo è un ritratto nudo, vivissimo, solitario. E profondamente umano.

I Boomdabash al Carroponte di Sesto san Giovanni il 1 settembre

Venerdì 1 settembre i Boomdabash fanno tappa al Carroponte di Sesto san Giovanni (MI) per un appuntamento live del loro “In un giorno qualsiasi Tour”.

Nell’avventura live che li ha portati in giro per tutta l’estate, accanto all’ultimo brano In un giorno qualsiasi, che anticipa l’uscita del nuovo album, Biggie Bash, Payà, Blazon e Mr. Ketra propongono i loro maggiori successi, da Portami con te a Il solito Italiano, fino a A tre passi da te, tra pop, hip hop e reggae caraibico.

BITS-RECE: Kesha, Rainbow. Il suono di una nuova libertà

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
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C’era una volta Ke$ha, quella che scriveva il suo nome mettendo il simbolo del dollaro al posto della S, quella che si copriva di glitter e vernici colorate sul corpo, quella che scalava le classifiche mondiali a suon di elettropop scanzonato e pestifero. Poi a un tratto tutto questo non c’è più stato: basta riflettori, basta luccichio, basta musica. Kesha è scomparsa, fagocitata nel silenzio da una brutta storia di violenze fisiche e psicologiche subite dal produttore Dr. Luke, a cui è seguita una crisi depressiva, un ricovero in rehab per disturbi alimentari e una lunga trafila legale per svincolarsi dagli obblighi che la tenevano legata al suo persecutore.

Sono serviti anni, ma oggi Kesha è tornata.
Il simbolo del dollaro nel nome non c’è più, i glitter neppure, i suoni elettronici molto meno, ma i colori sì, quelli ci sono tutti. Anzi, ce ne sono se possibile più di prima, perché dopo la brutta tempesta è comparso un arcobaleno. Rainbow, appunto, come il titolo di questo terzo album.
Il disco del ritorno, professionale certo, ma soprattutto umano.
Dal pop sporco e disubbidiente, Kesha si è spostata sul country, sul soul, sul funky, recidendo quasi del tutto ciò che è stato. I testi dei nuovi brani grondano di autoaffermazione, amore di sé (Praying, Hymn), guerra ai fantasmi e ai bastardi di ieri (Bastards), orgoglio femminile (Woman), e la speranza non è più un mezzo per sopravvivere in apnea, ma viene celebrata essa stessa come un traguardo, perché già arrivare a sperare è la prima vittoria.
La miglior manifestazione di questo messaggio è nell’intro del video di Praying, il primo, intensissimo singolo, la canzone della rinascita. Un moderno mito della Fenice, una dichiarazione di orgoglio sotto tutti i punti di vista.
Spiazzanti poi le collaborazioni, che vedono schierati i rockettari Eagles Of Dead Metal, i campioni del funky Dap-Kings Horns e Dolly Parton, la signora del country.
Un disco sorprendente per la sterzata stilistica e generoso nelle tinte sonore, che potrebbe lasciare parecchio interdetti i fan della Kesha di tempi di Tik Tok e Die Young. Un album pieno di potenziali inni e manifesti di libertà, ma privo di pezzi spaccaclassifica.

Poche volte una storia personale si riversa in musica in maniera tanto limpida e sincera come in questo album, senza sovrastrutture retoriche e sensazionalismi mediatici, e almeno per una volta senza tirare in ballo lacrimevoli amori frantumati.

Ma al di là del rock, dell’R&B, del country e del funky, dentro a Rainbow c’è qualcosa di molto più potente: il suono di una ritrovata libertà.

#MUSICANUOVA: L’aura, La meccanica del Cuore

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«Liberamente ispirata all’omonimo libro di Mathias Malzieu, La meccanica del Cuore è un inno alla fragilità. Come il protagonista del libro, anche io sono stata dotata di un delicatissimo cuore, un meccanismo perfettamente calibrato. Finché un’emozione non ne turba il movimento, questo è certo. Finché gelosia, rabbia o tristezza non fanno il loro ingresso trionfale, scardinando ogni difesa. In quel momento l’unica cosa da fare è accettare la follia intrinseca di ogni relazione sentimentale: quella stessa follia che noi scambiamo per amore, e che permea il nostro stato di innamoramento totale».

Prodotto e arrangiato da Simone Bertolotti e mixato da Michael Brauer, La meccanica del Cuore è il secondo singolo estratto dal nuovo disco di L’aura, Il contrario dell’amore, in uscita il 22 settembre: un concept album ispirato alla musica degli anni ’60, ’70 e ’90, un viaggio attraverso le epoche più significative per la musica pop-rock.

Del brano esiste anche una versione inglese, Apologize.

Il video, popolato da mostri, pupazzi, spettri e fate, è stato diretto dal giovane Jamie Robert Othieno.

Taylor Swift: il ritorno elettronico e velenoso della “vipera” bionda

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Non c’è dubbio: quello di Taylor Swift è il primo vero grande ritorno discografico della nuova stagione. Lo si poteva immaginare fin da quando è stato annunciato, e così è stato.

Dopo il mezzo buco nell’acqua di pubblico e critica raccolto da P!nk con What About Us, singolo attesissimo, uscito quando eravamo tutti in vacanza e passato pressoché inosservato, è la biondina della Pennsylvania a inaugurare con gran chiasso mediatico il lungo ciclo di comeback che ci attende nei prossimi mesi.
Il nuovo singolo è Look What You Made Me Do e apre una nuova era sotto tutti i punti di vista: non solo anticipa il nuovo album, Reputation, atteso per il 10 novembre, ma ci mostra anche una nuova Taylor.
Messo (definitivamente?) da parte il country – da cui comunque si era già parecchio allontanata con gli ultimi lavori -, la Swift si butta ora in un pezzo elettro-spigoloso quasi più vicino all’urban che al pop, con inserti di I’m Too Sexy dei Right Said Fred, mentre il testo del brano è una velenosa dichiarazione di guerra a un acerrimo nemico, da molti riconosciuto in Kanye West (ricordate i VMA?) o Katy Perry (ricordate Bad Blood?). O forse entrambi, vista l’abilità della Swift nell’aprire faide con i colleghi.

La vecchia Taylor è morta, e a dirlo è proprio lei nella canzone (Mi dispiace, la vecchia Taylor non può venire al telefono in questo momento. / Perché? / Oh, perché è morta!). Per rimarcarlo, con abilissima mossa di marketing, dalle sue pagine social alcuni giorni fa sono spariti tutti i vecchi post, sostituiti dall’immagine di un serpente in assetto d’attacco.
Un chiaro riferimento alla reputazione che negli anni Taylor si è costruita e che lei stessa sembra ora divertirsi ad alimentare: la première del video è stata infatti fissata per domenica 27 agosto durante la cerimonia dei VMA, che quest’anno saranno condotti da Katy Perry.
Pare che toccherà proprio alla padrona di casa dell’evento presentare in diretta mondiale il video e la curiosità di vedere la scena vale più dell’intero show.

Ah, che viperetta questa Taylor…..

Double Dutchess: il 22 settembre il nuovo album di Fergie, anche in visual edition

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Un silenzio musicale durato anni (l’album The Dutchess è del 2006) e interrotto solo da qualche sporadica apparizione sta per avere fine: Fergie torna il prossimo 22 settembre con il secondo lavoro solista, Double Dutchess.
E per fare le cose davvero in grande, l’album uscirà anche nella visual “experience”, Double Dutchess: Seeing Double.

Ad anticiparne l’arrivo, non una, ma due canzoni.
La prima è Hungry feat. Rick Ross prodotta da Yonni e JP Did This e co-prodotta da Donut. Il video cinematografico è diretto dall’artista brasiliano Bruno Ilogti.

La seconda è You Already Know, in collaborazione con Nicki Minaj e prodotta da will.i.am.

Questa la tracklist:
Hungry (feat. Rick Ross)
Like It Ain’t Nuttin’
You Already Know (feat. Nicki Minaj)
Just Like You
A Little Work
Life Goes On
M.I.L.F. $
Save It Til Morning
Enchanté (Carine) (feat. Axl Jack)
Tension
L.A.LOVE (la la) (feat. YG)
Love Is Blind
Love Is Pain

Fergie ha commentato così l’arrivo del nuovo album: “È finalmente arrivato! Mi ci è voluto molto tempo, tante notti in piedi fino a tardi dopo aver messo a letto mio figlio, lavorando per rendere perfetto Double Dutchess. Mi sembra che rappresenti appieno chi sono sotto ogni aspetto. Volevo fare un visual album, perché qui c’è una storia speciale che è molto vicina al mio cuore. Se dovevo dar vita ad un’etichetta, volevo fare le cose in grande. Questa è appieno la mia visione. Spero che lo amiate tanto quanto lo amo io. Vi vedrò tutti presto on the road”.

Fergie presenterà il nuovo lavoro, per la prima volta dal vivo, a Rock In Rio in Brasile il 16 settembre 2017 con un set di headliner. Il concerto sarà trasmesso in diretta streaming sul nuovo LiveXLive Digital Music Network.

#MUSICANUOVA: St. Vincent, New York

Nuovo singolo per “Annie” Clark, meglio conosciuta come St. Vincent.
Il brano si intitola New York ed è un uggioso omaggio alla Grande Mela accompagnato dal tocco di un pianoforte ed echi orchestrali.
Una svolta di stile che molto probabilmente caratterizzerà il nuovo album, di cui però ancora non si sa nulla.