Stile Ferreri: un Girotondo di autori nel nuovo album di Giusy

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Stile Ferreri.

Un po’ pop, un po’ rock, un po’ elettronico, tutto nella giusta misura. Ecco come si presenta Girotondo, l’album che segna il ritorno in pista di Giusy Ferreri, a quattro anni da L’attesa, se non si considera il successo colossale di Roma-Bangkok e la raccolta Hits.
Un album formato da un “cocktail autorale“, come simpaticamente lo definisce la diretta interessata: espressione che rende benissimo l’idea dei nuovi brani, perché se da una parte abbiamo firme come quelle di Roberto Casalino, Dario Faini, Diego Mancino, ma anche Federico Zampaglione (presente anche come ospite in L’amore mi perseguita), Tommaso Paradiso (Occhi lucidi) e Marco Masini (Immaginami), dall’altra ci sono i tappeti sonori di Takagi e Ketra (quelli di Roma-Bangkok), Diego Calvetti, Gianluca Chiaravalli, dello stesso Faini, elementi mischiati tra loro in cerca di soluzioni nuove, atmosfere fresche, danzerecce, magari vagamente latine, a sostenere parole che talvolta volano alte, testi che tratteggiano momenti di poesia, intimi o aspri, anche inattesi.
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Come nel caso di Il mondo non lo sa più fare – penso il migliore di tutto l’album: Che quest’epoca inizi / perché comincia la musica/ e sulle schiene ci crescano le ali.
O nel caso del pezzo che dà il titolo al disco, una riflessione sulla vita, o ancora della conclusiva La gigantessa, ispirata al componimento di Baudelaire, dove si parla di un infinito novecento / delle nostre meraviglie / nei risvegli tra la gente / mentre mastichi il mio cuore. Un elettropoprock – mi piace definirlo così – fatto di momenti intimi, tanto amore, e qualche graffio sanguigno.
Un cocktail di autori e di atmosfere preparato con attenzione in un costante lavoro di gruppo, e che oggi più che mai definisce quello che in futuro potrebbe davvero essere lo “stile Ferreri“, una cifra stilistica personale e inconfondibile, anche per la presenza di quel timbro “ingombrante” (lo definisce così proprio lei) che ha fatto di Giusy una delle più riconoscibili interpreti arrivate dall’universo-talent.
Se mai ci fosse qualcuno che ancora oggi, nove anni dopo la sua partecipazione a X Factor, si ostinasse a definirla la “Amy Winehouse italiana”, nei nuovi brani avrebbe ampio materiale per cui ricredersi. Qui c’è solo Giusy.
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Legato all’uscita del nuovo disco c’è poi il capitolo di Sanremo, ancora fresco di chiusura: un’edizione non troppo fortunata per la Ferreri, subito eliminata con Fa talmente male. Ma lei non sembra farne un grande dramma, semmai si rivela più stupita: “Sanremo per me è stata ogni volta l’occasione per propormi in una veste nuova. Nel 2011 ho presentato la svolta rock, nel 2013 con Ti porto scena con me avevo invece un pezzo poetico e più emozionale. Stavolta pensavo di andare sul sicuro con un brano che considero un po’ il fratello gemello di Novembre e Volevo te per i suoi elementi di elettronica. Forse su quel palco l’anima della canzone non è uscita fino in fondo: riascoltando le registrazioni ho sentito che veniva fuori soprattuto la parte orchestrale, e poi mancavano le voci dei controcanti, mentre io nell’interpretarlo mantenevo l’intenzione che la canzone aveva in studio”. E in effetti, riascoltandola oggi, senza la frenesia festivaliera, Fatalmente male svela un’anima molto più decisa di quanto non sia emerso durante il Festival. Ma poco importa davvero: “Ho passato così tanto tempo a non essere compresa in quello che facevo che l’eliminazione non mi ha toccato più di tanto”.
Sul palco, confessa, si sentiva un po’ il fiato corto, ogni tanto aveva delle vampate strane di calore, e sapeva bene il perché: proprio poco prima del Festival ha scoperto di essere incinta.

Clementino: il 24 marzo arriva Vulcano

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“Ho deciso di chiamare il mio album Vulcano perché io stesso mi sento un po’ come un vulcano: tutto il fuoco che ho dentro è uscito fuori attraverso le rime. Ho scritto i testi interamente e per la prima volta ho interpretato ogni canzone da solo, senza alcun featuring. In Vulcano ho messo al centro me stesso, Clementino, sperimentando anche sonorità che non avevo usato prima”.

Vulcano, il nuovo album di Clementino uscirà il 24 marzo: tredici tracce inedite interamente scritte da Clementino, tranne il brano presentato in gara a Sanremo, Ragazzi Fuori, composto nel testo insieme a Marracash.
Questa la tracklist:
UE’ AMMO (prodotto da Deliuan)
STAMM CCA’ (prodotto da TY1)
CENERE (prodotto da Shablo)
TUTTI SCIENZIATI (prodotta da Marz)
KEEP CALM E SIENTETE A CLEMENTINO (prodotto da Amadeus)
RAGAZZI FUORI (prodotto da Shablo e Zef)
DESERTO (prodotto da Shablo)
JOINT (prodotto da Yung Snapp)
COFFEE SHOP (prodotto da Swan)
LA COSA PIU’ BELLA CHE HO (prodotto da Deleterio e Fabrizio Sotti)
SPARTANAPOLI (prodotto da Shablo)
A CAPA SOTTO (prodotto da Swan)
PAOLO SORRENTINO (prodotto da David Ice)

Brunori Sas: partito da Bologna con due sold out il nuovo viaggio live

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Brunori Sas
è tornato sul palco con A casa tutto bene tour, il viaggio musicale di 18 tappe nei più importanti club e teatri d’Italia che ha debuttato all’Estragon di Bologna con due straordinarie date da tutto esaurito ed è già un successo in prevendita con 9 date sold out e 2 raddoppi.

“L’idea è, da una parte, di rendere il disco per come l’abbiamo suonato perché amo e rispetto la produzione e il suono di questo lavoro, dall’altra, di restituire un certo tipo di energia che è propria e si adatta perfettamente all’atmosfera del club”, racconta Brunori.
Uno vero e proprio spettacolo che non tralascerà i brani storici del cantautore, portando sul palco il nuovo impianto sonoro di A casa tutto bene, il quarto album di inediti, che ha debuttato sul podio della classifica dei dischi più venduti.
Durante il live si alterneranno momenti di puro divertimento ad altri più intimi e riflessivi e Brunori sarà accompagnato dalla sua band storica, composta da Simona Marrazzo (cori, synth, percussioni), Dario Della Rossa (pianoforte, synth), Stefano Amato (basso, violoncello, mandolini), Mirko Onofrio (fiati, percussioni, cori, synth) e Massimo Palermo (batteria, percussioni), Lucia Sagretti (violino).

Fabio Cinti guarda le tue foto su Facebook nel video di Mondo in vetrina

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Il video ufficiale c’è, e lo vede impegnato a guardare la TV in bianco e nero in una stanza d’albergo, quando gli viene consegnata una misteriosa scatola da torta….

Ma per Mondo in vetrina, nuovo estratto da Forze elasticheFabio Cinti ha pensato anche a un altro video: quello in cui alla sua TV passano le foto di Facebook. Le mie foto, ma anche le tue, proprio di te che stai leggendo, e di chiunque altro.
Un video personalizzato che si può guardare seguendo questo link.
“La dualità dell’esistenza individuale tra virtuale e reale rappresentata in un momento imprecisato della vita, in un tempo che è insieme reale e irreale, tra ossessione e immaginazione, alla ricerca – forse senza successo – di regole perdute”.
C’era chi diceva “le regole son morte”,
invece erano storte
e non se ne accorgeva. 

BITS-CHAT: L'odore della vita. Quattro chiacchiere con… Amara

Vita, amore, pace, speranza.
Non si contano le volte che Amara usa queste parole nei testi delle sue nuove canzoni. Così come non si contano le volte in cui queste stesse parole ritornano nel corso del nostro incontro, mentre la ascolto parlare del suo secondo album, intitolato proprio Pace.
Erika Mineo, in arte Amara, si era già messa in luce molto bene nel 2015, quando si era presentata sul palco di Sanremo tra le nuove proposte con Credo: non ha vinto, ma ricordo che in quell’occasione molti manifestarono entusiasmo per quella ragazza capace di scrivere e cantare con così tanta consapevolezza cose che sentiva e viveva davvero. La stessa sensazione che si sente oggi tra le righe dei nuovi brani, che tra elettronica e atmosfere sinfoniche arrivano a toccare temi universali, scritti e cantati con una limpidezza che fa davvero meraviglia.
Non è quindi un caso se Fiorella Mannoia quest’anno è tornata a Sanremo dopo trent’anni portando un brano – quel tanto osannato Che sia benedetta – scritto proprio da Amara.
16797378_1118463888263410_1763400978893838872_oPace: è più una ricerca o uno stato d’animo?
Per me è soprattutto pace interiore, quello che cerco da sempre e che forse finalmente adesso ho raggiunto: stare bene con se stessi vuol dire stare bene con il mondo, se l’uomo è in guerra con se stesso è in guerra con il mondo. “Siamo noi la vita, siamo noi la pace” canto nel brano, e intendo proprio questo, riscoprire il senso della vita, perché il vero miracolo siamo noi e noi siamo ciò che sentiamo. La nostra mente in teoria dovrebbe essere l’arma più importante dell’uomo, il nostro miglior amico, ma diventa il nostro peggior nemico se non siamo in pace con noi stessi.
Come è nata la collaborazione con Paolo Vallesi?
Non credo al caso, ogni incontro ha un significato: io e Paolo ci siamo conosciuti l’anno scorso a Prato in occasione di una manifestazione di beneficenza. Si è subito creata una sinergia, ci siamo osservati e ci siamo presi: nella sua carriera ha portato nella musica messaggi bellissimi, basta pensare a La forza della vita o Le persone inutili. Abbiamo passato una notte intera a parlare di musica e abbiamo deciso di fare questa esperienza insieme, così è nato il pezzo. L’abbiamo presentato a Sanremo, ma purtroppo non è stato ammesso alla gara: il fatto che Carlo Conti l’abbia voluto comunque sul palco per il suo messaggio mi rende orgogliosa, anche perché quest’anno per me Sanremo ha avuto un valore importantissimo.
L’album arriva dopo un viaggio che hai fatto in Africa. Cosa ti ha lasciato quell’esperienza? E secondo te il disco sarebbe stato così senza quel viaggio?
Impossibile dirlo, perché il viaggio c’è stato e diversamente non so cosa sarebbe successo alla mia musica. Di sicuro, in me è accaduto un cambiamento: ho ritrovato un contatto con me stessa che non avevo più, un contatto primordiale, con la parte animale che difficilmente riusciamo a sentire. Stare con quelle persone mi ha fatto vedere la relazione reale con il tutto, il rispetto per la Madre Terra. Di questo parlo in La terra è il pane, “nessuno schiavo, nessun è padrone, siamo tutti figli di questa terra, frutti di questa terra”. La terra ci permette di essere vita, ci ossigena, ci nutre, ci ama, ci dà energia. Ai nostri occhi la realtà dell’Africa appare povera, ma io l’ho vista ricca, di valori, odori, colori, non abuso, uso, rispetto: quelle persone vivono la vera condizione del rapporto umano, abitano il pianeta nel modo più semplice. Fanno quello che hanno sempre fatto, bevono l’acqua del fiume, e sono del tutto ignari di ciò che accade fuori, non sanno i danni che stiamo arrecando al clima, e in questo sono schiavi, si ammalano perché noi facciamo loro del male attraverso i nostri comportamenti sbagliati verso l’ambiente, subiscono la nostra arroganza.

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Terribile pensare che loro non sappiano nulla…
Per loro conta solo l’essenza e non guardano l’apparire. Hanno un rapporto bellissimo con la natura: sanno prevedere la pioggia, ascoltano la natura, la respirano. Tutti dovrebbero andare in Africa per rendersi conto di cosa significa, per riscoprire la parte nascosta.
Scorrendo i titoli dei brani, si trovano parole come grazie, pace, pane, bellezza, fantasia, filastrocca, amore. Dove trovi tutta questa positività?
Vivo l’attualità e la società come la vivono tutti, e non voglio fare della mia vita una dottrina. Ognuno ha un suo punto di vista, una verità interiore da ricercare per dare un senso alla vita e comprenderla. Ogni cosa che viviamo è un insegnamento per arrivare a una totalità: la cura per non cadere nelle brutture è staccarsi da tutto quello che crea interferenza, ed è per questo che a volte decido di isolarmi, quasi in una sorta di eremitaggio. Sento il bisogno di staccare il collegamento dalla TV, dai social e cerco il contatto con la parte reale, la natura, che ti inonda con la sua frequenza perfetta a 432 Hz. In questo modo posso tornare alla bellezza, perché la natura è una grande maestra e ti fa capire quanto sia importante rispettare il tempo di ogni cosa. La natura ha un caos interiore, che è anche il suo ordine. Se guardo la televisione o leggo i giornali si parla di crisi, morte, disordine, e questo porta paura, porta a essere vittime di quello che c’è fuori, perché siamo tutti in relazione con il mondo che ci circonda. Ecco perché non possiamo permetterlo e dobbiamo staccarci dalle interferenze.

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In questo la musica ti aiuta?
Scrivere una canzone vuol dire lavorare con la magia, perché crei una cosa che non c’è visivamente. Quando suoni magari ti rifai a qualcosa che è scritto su un foglio, ma quando scrivi fermi il momento cosmico: se mi arriva una frase la devo scrivere, altrimenti la perdo, perché di fatto non esiste. Quando sono a casa, nei miei silenzi, nella mia dimensione, mi siedo e cerco quel suono che accenda il “tasto on” nella mia mente e mi faccia riportare sulla carta quella frequenza magica. E’ un po’ come con le persone, cerco sempre di andare in profondità, di vedere oltre che guardare.
Anche Che sia benedetta sembra inserirsi perfettamente nel contesto dell’album. 
Oggi tutto va così veloce, e allo stesso tempo così lentamente, che sembra che a 30 anni non si possa avere la consapevolezza del valore della vita, ma a 30 anni si è adulti e io oggi mi sento donna, anche se non ho un figlio. Da quando ho iniziato a vivere la vita con questa sensibilità non posso che benedire questo dono. La vita è davvero perfetta, ce lo insegnala natura, una grande maestra: vedere un albero che aspetta la stagione giusta per manifestare i suoi colori e i suoi odori o una madre che mette al mondo una vita è un grande miracolo. E’ l’essere umano che la rende imperfetta.
Pensi che oggi la musica svolge un compito diverso rispetto al passato per la società?
Non saprei. Oggi, a noi che viviamo il nostro presente, appare tutto uguale, ma penso che anche in passato fosse così: del passato è rimasto quello che doveva restare, il resto se n’è andato, e anche in futuro sarà così.

Per rivisitare C’è tempo di Fossati hai chiamato Simona Molinari; come ti sei trovata in questa collaborazione? 
Io e Simona siamo due massimi opposti, anche vocalmente, ma questa è la prova che le diversità possono coesistere, e la ringrazio tanto per il suo contributo. E’ un’amica e un’artista che stimo molto. Reputo questa canzone una vera opera, un pezzo importante che ho voluto omaggiare per due motivi: mi ha insegnato prima di tutto a non avere paura del tempo e che ogni cosa accade se si ha la pazienza di attenderla, e poi mi ha trasmesso un senso di responsabilità, perché per me quella canzone è stata motivo e forza di vita, per cui mi fa sperare che le mie canzoni possano fare altrettanto per altri.
laycard_1228Di chi è la voce che si sente in Filastrocca d’amore?
Di Gaia, la nipotina di un mio caro amico. Ha letto questa filastrocca con la spontaneità tipica dei bambini. Parla dell’educazione del cuore, e quando mi sono trovata davanti il testo mi sono chiesta quale fosse il modo migliore per raccontarlo. Fin dall’inizio sentivo che doveva intitolarsi Filastrocca d’amore e ho pensato che non c’è maestro di vita più grande di un bambino. Le parole “se appoggi la mano all’altezza del cuore, tra il battito e il flusso ci trovi l’amore” pronunciate con quella cantilena hanno una forza incredibile. Quando ho detto al mio produttore che volevo inserirla nel disco mi ha risposto che stavamo facendo una follia, ma alla fine l’ho tenuta così, senza musica, registrata da Whatsapp.
Ascoltando Quando incontri la bellezza mi è venuto in mente il brano di un altro cantautore, Fabio Cinti, che in E lei sparò dice “la bellezza, si sa, ti tocca e poi se ne va”. Tu pensi che la bellezza si possa fermare?
La bellezza si può vedere, contemplare, anche vivere, ma non si può prendere. Quando nella canzone dico “l’amore è nel sorriso quando incontri la bellezza” intendo proprio questo, qualcosa che si può solo ammirare.

Nel disco hai inserito Un altro sole, che Loredana Errore aveva già cantato nel suo ultimo album, Luce infinita. Perché hai scelto di riproporla?
Ci sono canzoni a cui sono legata in modo diverso: tutte sono importanti, ma alcune sono come fotografie, passaggi di vita forti. Le canzoni sono un po’ i miei selfie, che non amo fare sui social. Un altro sole mi ha spinto verso la pace: quando vivi una vita che non ti appartiene, ti trovi in uno stato di inutilità e l’unica cosa che puoi fare è aspettare che torni il sole e ritrovare la pace.
Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione?
La ribellione è crescita, rivoluzione interiore. Dobbiamo prima di tutto ribellarci a noi stessi, siamo noi i nostri più grandi nemici.

Renzo Rubino si prende… Il gelato dopo il mare

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Il gelato dopo il mare è rallentare, è prendersi tempo, è mio nonno Lino che si divora un gelato in copertina con la stessa voracità irresponsabile dei bambini. E’ il mio disco di ritorno. Solido come i pensieri che hanno il tempo di sedimentarsi. Incontenibile come il mio desiderio più grande: condividerlo con i vecchi e i nuovi fan”.

A tre anni dal suo ultimo lavoro, Renzo Rubino torna con Il gelato dopo il mare, che uscirà per Warner Music Italia venerdì 31 marzo.
Un lavoro molto privato, in una dimensione musicale ricca che nei suoi contrasti cromatici suona come un inno alla vita, e nei testi tra dinamismo emotivo e vena letteraria.
Ad aprile Rubino inizierà un tour di presentazione di cui verranno a breve annunciate le date.

Eco di Sirene: al via da Belluno il nuovo tour di Carmen Consoli

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Carmen Consoli
torna dal vivo con l’Eco di Sirene tour, tra suoni e arrangiamenti sperimentali, pensati per la formazione con archi e chitarra acustica.

Un progetto magico ed originale che rispecchia l’anima sperimentatrice di Carmen, che salirà sul palco in punta di plettro con Emilia Belfiore e Claudia della Gatta, in un trio acustico composto da chitarra, violino e violoncello, in un naturale sviluppo del tour Anello Mancante (2008), nel quale si esibiva sola sul palco con le sue 6 chitarre acustiche. 
Il tour ha già registrato 10 sold out nelle prime 10 date. In via di esaurimento anche per le prime tre date di Milano al Teatro Dal Verme (20, 21 e 23 marzo), e per far fronte alle numerose richieste è stata aggiunta una quarta data il 24 marzo.
Biglietti disponibili su ticketone.it e in tutti i punti vendita abituali.
Di seguito tutte le date di Eco di Sirene, prodotto da OTRlive: 
Febbraio 2017
25 Belluno – Teatro Comunale – SOLD OUT
27 Verona – Teatro Filarmonico – SOLD OUT
28 Perugia – Teatro Morlacchi – SOLD OUT
Marzo 2017
2 Roma- Auditorium Parco della Musica – SOLD OUT
3 Roma- Auditorium Parco della Musica – SOLD OUT
4 Roma- Auditorium Parco della Musica – SOLD OUT
5 Venezia – Teatro La Fenice – SOLD OUT
8 Bologna – Teatro delle Celebrazioni – SOLD OUT
9 Bologna – Teatro delle Celebrazioni – SOLD OUT
11 Senigallia (An) – Teatro la Fenice – SOLD OUT
18 Pescia (Pt) – Teatro Pacini
19 Genova – Teatro Politeama
20 Milano – Teatro Dal Verme
21 Milano – Teatro Dal Verme
22 Milano – Teatro dal Verme
24 Milano – Teatro dal Verme
29 Napoli – Teatro Augusteo
30 Bari – Teatro Petruzzelli
31 Lecce – Teatro Politeama Greco – SOLD OUT
Aprile 2017
7 Cagliari – Auditorium del Conservatorio – SOLD OUT
8 Sassari – Teatro Verdi – SOLD OUT
11 Palermo – Teatro Biondo – SOLD OUT
12 Agrigento – Teatro Pirandello
13 Agrigento – Teatro Pirandello
14 Messina – Auditorium Palacultura Antonello
23 Lugano – Teatro Lac
24 Firenze – Teatro la Pergola
29 Mantova – Teatro Sociale – SOLD OUT
30 Mantova – Teatro Sociale

#MUSICANUOVA: Decibel, My My Generation

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Ok, adesso è proprio vero: i Decibel sono tornati sul serio!

Il 10 marzo arriva Noblesse Oblige (i dettagli qui), il nuovo album, e ad aprirne il corso è My My Generation.
A giudicare da quello che si sente,  tre ragazzi punk non hanno perso lo smalto e hanno tanta, tanta voglia di far saltare tutto per aria!
Inoltre, partirà il 17 marzo il nuovo tour.
Queste le date confermate:
17 marzo a Castelleone – Cr
(Teatro del Viale)

18 marzo a Pomezia – Rm (Club Duepuntozero)
25 marzo a Perugia (Teatro Morlacchi)
28 marzo a Torino (Club Le Roi)
29 marzo a Asti (Teatro Palco 19)
8 aprile a Genova (Teatro della Tosse)
10 aprile a Milano (Teatro della Luna)
26 aprile a Bologna (Teatro Il Celebrazioni)
18 maggio a Bergamo (Teatro Creberg)
19 maggio a Nova Gorica (Casinò Perla).

La bellezza secondo Samuel

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“Ho sempre pensato che la bellezza non fosse un concetto solamente estetico. Il dono dell’eleganza, della sensibilità, dell’ironia fanno parte di un istinto interiore che rappresenta il bello degli essere umani. Ho provato ad immaginare la bellezza come un codice scritto dentro le persone speciali, quelle persone che sono fonte d’ispirazione per chiunque gli stia vicino”.

Da qui, da questa considerazione è nato Il codice della bellezza, primo lavoro da solista di Samuel, che arriva dopo i singoli La risposta e Rabbia e la partecipazione a Sanremo con Vedrai.
Ho pensato al ‘codice’ perché in quinta elementare avevo deciso di costruirmi un alfabeto mio, un codice appunto, con il quale avevo deciso di affrontare gli studi che stavo facendo e con cui, in pratica, volere decifrare la realtà”.
Ben cinque brani sono firmati insieme a Lorenzo Jovanotti – Più di tutto, La statua della mia libertà, Niente di particolare, La luna piena (scelto da Walter Veltroni e per il nuovo film in uscita a maggio) e Voleva un’anima, e per quest’ultimo i due hanno realizzato un duetto – frutto di alcuni giorni di lavoro a New York: “Lorenzo Jovanotti è diventato una sorta di fratello maggiore musicale. Quella di Lorenzo si chiama “passione” ed è proprio quella che lo ha reso Jovanotti, un artista ispirato una persona a cui non puoi non voler bene. Non so ancora come dovrà essere questo lavoro gli ho detto un giorno mentre stavamo lavorando. Mi ha detto Dovrà essere mitico. Facile, no? Come non averci pensato? “.
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Volevo un disco pop e ho deciso di lavorare con persone che conoscessero molto bene questo campo di gioco. Quando circa due anni fa ho iniziato a guardarmi intorno, a chiedere chi fosse il miglior produttore di musica italiana, un coro si sollevò all’unisono. Michele Canova! Ovvio pensai, produce tutti gli artisti che al momento più influenzano la scena pop italiana, ma sarà proprio cosi?
Ci siamo incontrati e ho realizzato subito che era la persona giusta. Era l’uomo capace di sfidarmi ed andare a rovistare dentro me per tirare fuori il meglio”.
“Con Lorenzo ci siamo incontrati a New York a Maggio del 2016 ed è stato amore a prima vista, senza nemmeno dirci chi siamo e da dove veniamo lui tira fuori una frase, io gliela restituisco con la melodia, mentre Michele ispirato inizia a dipingere ritmiche sul computer, dalla sua frase me ne salta fuori una a me, lui la semplifica e me la rilancia io incredulo rido, lui canta una melodia io dico figo perché non cambiamo questa nota, gliela canto, lui ride e avanti così per ore, e poi per giorni”.

L’album sarà presentato in alcune speciali anteprime: a Torino all’Hiroshima Mon amour, dopo aver esaurito in poche ore il primo appuntamento dell’11 maggio, gli organizzatori hanno dovuto aprire le prevendite per il secondo appuntamento del 12 maggio ancora andato esaurito in 24 ore; all’Alcatraz di Milano, il 18 maggio; a Roma,per la chiusura al Postepay Sound Rock in uno speciale evento il 27 giugno.
Infine, una sorpresa: sul sito www.samuelromano.it/ilcodice è possibile tradurre il proprio nome con…. il codice della bellezza.

BITS-CHAT: "Giochiamo con la musica bambina". Quattro chiacchiere con… Lastanzadigreta

Sono torinesi e si fanno chiamare Lastanzadigreta, ma quello che propongono non può stare tutto rinchiuso in una stanza, ma necessita di un mondo. Anzi, di un universo, fatto prima di tutto di musica, e poi di idee e di regole che si rompono e si ricompongono in modo nuovo, prendendo tutto come un grande, impegnatissimo gioco.
Pur essendo musicisti professionisti, tra di loro non c’è nessun basso, nessuna batteria, nessun ruolo fisso, e quello che sono abituati a portarsi sul palco durante i concerti è molto diverso dalla strumentazione canonica di una band. Sarà anche per questo che come titolo del loro primo album – arrivato dopo due EP e uscito per la Sciopero Records degli Yo Yo Mundi – hanno scelto Creature selvagge, perché così sono le loro canzoni, e forse così sono loro stessi. Inutile dire che cercare di definire quello che fanno è quasi impossibile: una musica che definiscono “bambina e democratica”, un “pop di metallo e legno massello”, libero da vincoli, che il gruppo si propone di trasmettere all’esterno con un l’interessante progetto JAM di didattica musicale alternativa.

Entrare anche per solo qualche momento nel mondo dei “Greta” è un’esperienza entusiasmante, che abbiamo provato a fare sotto la guida di Leonardo Laviano, voce della band.
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Prima di tutto, una domanda forse banale, ma la curiosità c’è: perché questo nome?
Parto col dire che è scritto volutamente tutto attaccato. Greta è una ragazza realmente esistita, anche se oggi non è più tra noi, ed è stata la causa che nel 2009 ha fatto riunire cinque musicisti: raccogliere dei fondi per permetterle di curarsi. È stata un’esperienza formativa, oltre che bella, che ci ha spinto ad andare avanti, a “fare cose” insieme, come si dice, fino ad arrivare a questo disco. Il riferimento alla stanza invece è legato ai nostri strumenti, che spesso non sono tali: ci piace immaginare una serie di oggetti di vario tipo custoditi o abbandonati in una stanza che qualcuno recupera per farli rivivere.

È stato difficile concretizzare tutti insieme il concetto di musica bambina e democratica?
Questa concezione di musica ha già in sé due grandi problemi, quello di essere bambina, e cioè diretta, senza fronzoli, e quello di essere democratica, un elemento oggi più che mai difficile da realizzare, perché per definizione la democrazia è la mediazione di teste diverse in un unico ipercervello. Due concetti che ancora oggi sono per noi frutto di fatica, perché arriviamo da storie diverse: io per esempio sono legato al rock inglese degli anni ’80, i Dire Straits, la produzione più impegnata dei Depeche Mode, ma c’è anche chi è legato ai cantautori italiani come De André, o chi è legato alla world music, e vorrebbe quindi portare il didgeridoo nel pop, ci sono i cultori del noise del Nord Europa, del blues americano, del prog. Ecco, prova a pensare a tutto questo in un unico frullatore. Il disco è frutto della coagulazione di questi elementi: siamo riusciti a fare una sintesi che ancora oggi ci suona bene.
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Mi spieghi anche la definizione di “pop di metallo e legno massello”?
Ci piace giocare con le parole e i concetti, un po’ di giocoleria non fa mai male. In questo caso, il metallo e il legno massello sono gli elementi più presenti nei nostri live : sul palco portiamo di tutto, dal chitarrino portoghese alla Weissenborn, chitarre giocattolo, la Diavoletto Gibson, chitarre con le corde di nilon senza cassa, la marimba, usata dai Tears For Fears negli anni ’80 ma poi pochissimo perché piuttosto ingombrante, il piano Rhodes Fender, un organetto a vento degli anni ’60, una drum macchine della Farfisa trovata in un mercato delle pulci a 3 euro e che abbiamo poi scoperto essere quella su cui sono stati costruiti i dischi dei Kraftwerk. Poi abbiamo un bidone dell’immondizia, delle scatole di latta, il didgeridoo. Insomma, c’è ben poca plastica, ma tanto legno e tanto metallo. Sono tutti strumenti che risentono del freddo e del caldo, suonarli non è sempre facilissimo, anche perché abbiamo un tur nover molto spiccato, per cui l’approccio verso gli strumenti è spesso prudente. Siamo tutti musicisti esperti, ma ognuno nel suo, e forse si deve anche a questo la mancanza di virtuosismi nelle nostre canzoni.

Anche la copertina sembra nascondere tanti elementi diversi.
È un po’ come le canzoni dell’album, con un significato profondo che ci ha messo chi l’ha creata, ma è bello che tutti ci possano vedere qualcosa di diverso, di personale. Il disegno è di Cinzia Ghigliano, una bravissima illustratrice, che ha centrato esattamente il punto: tutto è sfuggente, non si capisce se la figura è una femmina o un maschio, non si capisce che ruolo hanno i libri o perché spunti dalla testa di quella figura un uovo, sotto c’è un pesce, un uomo con la barba che ricorda il Pitagora di 4-4-2. Cinzia ha realizzato anche le copertine dei precedenti due EP e l’unica regola che le abbiamo sempre dato è stata quella di ascoltare le canzoni e disegnare quello che sentiva.
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Tra i brani, Erri pare avere un titolo eloquente: che rapporto avete con De Luca?
Beh sì, il titolo è piuttosto esplicito ed è uno dei nostri piccoli vanti. Non posso dire che abbiamo fatto un bel disco, perché tocca agli altri, ma posso dire che abbiamo fatto un disco che ci piace, anche grazie a chi ci ha supportato, come il nostro fonico, Dario Mecca Aleina, a tutti gli effetti il sesto componente del gruppo, e all’etichetta degli Yo Yo Mundi, la Sciopero, che per la prima volta ha accolto al suo interno un disco diverso da quelli della band. L’altro elemento di cui andiamo orgogliosi è il benestare di Erri De Luca: questo brano, che è parte di un suo componimento, inizialmente era stato pensato per essere recitato da un’attrice, e poi l’abbiamo trasformato in un pezzo più classico. Abbiamo poi scritto all’autore per chiedergli il permesso di utilizzarlo: la risposta è arrivata velocissima e in perfetto stile De Luca, “Il brano è molto gradevole, fate del mio pezzo quello che vi pare”, e così è stato anche per le regolamentazioni della SIAE.

In Amore e Psiche citate invece Danilo Dolci, sociologo e attivista della nonviolenza. 
Insieme a Erri, questo è l’altro brano di cui non siamo noi gli autori. Ci è arrivato come un dono che non aspettavamo da Paolo Archetti Maestri degli Yo Yo Mundi.Lui ha scritto per i grandi della musica italiana e pensando a noi ha scritto questo pezzo meraviglioso: non è una storia, ma sono delle immagini. Danilo Dolci è colui che dà nome a un sogno. Si parla poi di atomi, di pittori, di tram, di passato. È un pezzo a stella, mi piace vederlo così, con l’ascoltatore al centro. Pur essendo uno dei più lunghi dell’album, mi è entrato subito in testa ed è uno dei pochi di cui fin dall’inizio non ho avuto bisogno di leggere le parole durante i concerti, segno che Paolo ha scritto un testo molto efficace senza usare rime e ritornelli banali.

Oltre alla musica siete impegnati anche con l’associazione altreArti nel progetto JAM, con il quale proponete una didattica musicale diversa. Che tipo di riscontri avete ricevuto?
Il gruppo si è costituito come associazione altreArti nel 2009: il progetto JAM è stato portato avanti da alcuni membri della band che sono anche insegnanti, ma tutti diamo comunque un contributo. L’impatto sul territorio è stato molto forte e noi siamo a dir poco euforici. La nostra scuola prevede ore extracurricolari nelle sue tre sedi e laboratori didattici all’interno delle altre scuole, e credo che il successo dipenda da più fattori. Prima di tutto, cerchiamo di mettere la teoria al servizio della pratica: non partiamo insegnando il solfeggio o la distinzione tra toni e semitoni, ma partiamo insegnando il ritmo di un pezzo o la posizione di un accordo. Sarà poi in un secondo momento che il bambino scoprirà di aver suonato una croma o di aver fatto un MI. L’altro fattore, forse più importante, è l’impegno nell’utilizzare oggetti di vario tipo come strumenti: non si va subito alla ricerca della chitarra e della batteria da mille euro, ma si usa una pentola, una bottiglia vuota o un vecchio giocattolo, proprio come facciamo noi sul palco. E nei laboratori invitiamo i bambini a costruirsi nuovi strumenti e portare degli oggetti per capire come possono essere utilizzati.

Vi aspettavate una risposta così positiva?
Forse è brutto da dire, però sì. I miei figli sono già grandicelli e nelle loro scuole vedo che è difficile trovare degli insegnanti che sappiano trasmettere degli stimoli e far muovere il cervello, per quanto mi rendo conto che la vita degli insegnanti non è semplice. Le scuole musicali ci sono, ma sono tutte di impostazione tradizionale. Volevamo far fare cortocircuito a questo sistema, in cui si richiedono spese molto alte per l’acquisto degli strumenti e si buttano via oggetti ancora funzionanti.
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Quale pensi sia oggi il più grande compito della musica?
Prima di tutto, ho imparato sulla mia pelle che non esistono gli ambiti, ma esiste solo la vita. Dieci anni fa avevo un lavoro di responsabilità in uno studio grafico, guadagnavo molti soldi e andavo avanti a cortisone per la dermatite da stress, le passioni le tenevo in un cassetto. A un certo punto mi sono guardato allo specchio e ho capito che non potevo continuare in quel modo, per me e per i miei figli, così mi sono ridisegnato una vita: oggi faccio quello che mi piace, per lavoro mi occupo di comunicazione e fotografia, guadagno molto meno e fatico molto di più, ritagliandomi i giorni liberi per andare in tour con la band. Quello che vogliamo dire con la musica è di liberarsi dalla morale, vogliamo proporre alternative nei suoni così come nei messaggi, con un’attenzione all’ambiente. Sarebbe bello se chi ha il privilegio di fare politica provasse a ridisegnare un mondo libero dalla rabbia, perché il livore frena ogni cosa. Nei nostri brani non urliamo contro nessuno, semmai contro noi stessi, come in Deserto.

Perché pensi che le radio non passino musica come la vostra?
Non so, ci sentiamo sempre dire che le nostre canzoni sono belle ma non radiofoniche. Oggi con il web le radio sono tantissime, ma la gamma di brani che girano è molto ristretta. Quando era piccolo mi piaceva costruire casse acustiche e ho preso un po’ di confidenza con ciò che riguarda le onde sonore: se si provano a misurare con l’oscilloscopio le fasce d’onda dei brani in classifica si vede come siano tutti molto simili. Il nostro orecchio si è abituato a quei parametri e se dovesse passare in radio qualcosa di diverso si potrebbe pensare che la radio non funzioni. Nel mondo discografico c’è fame di guadagno e di creatività, come è giusto che sia, ma se non si amplia la gamma delle tendenze non cambierà nulla. Io posso solo allargare le braccia sconsolato.

Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione?
È un concetto molto complicato, che varia nelle diverse fasi della vita. A vent’anni ribellarsi vuol dire fare tabula rasa e ricostruire tutto, e ci sta; a quarant’anni invece bisognerebbe pensare più a lungo termine e prendere in prestito la furbizia e il sincretismo dei cristiani, che duemila anni fa non hanno eliminato le regioni preesistenti, ma le hanno portate dalla loro parte. In termini pratici, ribellarsi alle dittature e alla mancanza di diritti vuol dire entrare dentro il sistema in punta di piedi come ospiti e iniziare a sostituire mattoncino dopo mattoncino. La ribellione che funziona non si fa in cinque minuti e nemmeno in cinque generazioni, e non si fa uccidendo, ma convincendo. Un pezzo alla volta.