BITS-CHAT: Un punto tra il viaggio e la musica. Quattro chiacchiere con… Greta

Greta_foto di Laura Penna_5_b
Greta Elizabeth Mariani
è nata a Roma nel 2001, ma il suo cuore è abituato a fare la spola sulle due sponde dell’Oceano Atlantico: figlia del musicista Roberto Mariani, attivo negli anni ’90, e di Giulia Elizabeth, assistente di volo e marketing manager, italo-americana, in casa ha da sempre respirato viaggio e musica, iniziando a comporre fin da bambina ed esibendosi in manifestazioni musicali tra Londra e Stati Uniti.

Quest’anno ha finalmente potuto mettere un “punto fermo” nella sua carriera pubblicando il suo primo EP, Wonderful, realizzato a Londra sotto la supervisione di David Ezra.

Quattro tracce tra indie e pop che sono la manifestazione spontanea di un’“urgenza artistica”, ma che testimoniano anche la voglia di evasione, come il nuovo singolo estratto, Song N.5.

Greta_cover_foto di Laura Penna_b
Come ti sei trovata a lavorare al tuo primo Ep, Wonderful? Era la prima volta che ti mettevi alla prova con la scrittura dei brani?

Mi sono trovata molto bene. Io e mio padre, che mi segue artisticamente, abbiamo passato una settimana nell’Hilltop Recording Studio londinese di David Ezra. È stata un’esperienza intensa e indimenticabile. Ho sempre scritto, la musica è sempre stata nella mia vita. Considero questo Ep come un punto fermo dopo una serie di virgole. Scrivo da quando ho 11 anni e ho cominciato a pubblicare singoli all’età di 14 anni.

Pensi che la presenza di un padre musicista ti abbia influenzata nella decisione di intraprendere questa strada?
Sicuramente vivere in una casa di artisti ma soprattutto essere sempre stata a contatto con la musica ha influito sulla mia artisticità, su quella che sono ora. Credo anche che, anche se in parte, provenga dal mio carattere, dal mio modo di essere. Mia sorella minore, Zoe, ad esempio, è appassionata di musica, ma lo è ancora di più per l’arte figurativa, in tutte le sue forme. Di certo però avere un padre musicista ha influito positivamente, mi ritengo fortunata anche se non mi ha mai forzata, anzi, mi ha sempre lasciata libera di intraprendere il mio percorso musicale. Amo fare musica, ha sempre fatto parte della mia vita. Finora ma soprattutto da bambina non ho mai cantato e scritto perché obbligata, ma per me stessa, per dare spazio alle mie emozioni e per sentirmi bene.

Chi sono gli artisti che ti hanno maggiormente influenzata?
Gli artisti che porto nel cuore e che mi hanno sempre accompagnata e formata negli anni sono Joss Stone, George Ezra, Aretha Franklin, Sigur Ros, Bijork, James Bay, Alt J, X Ambassadors, Amy Winehouse, ma avrei una lista infinita!! Ora i miei artisti di riferimento sono Anne Marie, Dua Lipa, Jessie Reyez, Macklemore, Rudimental, Labirinth, Post Malone, Billie Eilish, James Arthur. Sperimento sempre e cerco di ascoltare più musica possibile, diversa, nuova, che mi possa ispirare.
Greta_foto di Laura Penna_3_b
Che importanza ha il viaggio nella tua vita?
Il viaggio nella mia vita ha avuto e ha attualmente un ruolo fondamentale. Provengo da una famiglia italo-americana, ho sempre fatto avanti e indietro tra gli States e l’Italia. Il viaggio quindi mi ha permesso di restare in contatto negli anni con la mia famiglia, mia nonna, mia zia, i miei cugini Oltre alla necessità di questi viaggi, amo molto viaggiare, amo scoprire posti nuovi e rendersi conto di quante altre realtà lontane dalla nostra ci sono nel mondo. Credo che viaggiare, oltre a farti crescere, ti apre anche la mente.

Tra Europa e Stati Uniti, dove senti di avere le tue radici? Che piani hai per il futuro?
Sono nata a Roma, sento di avere le radici in Europa, in Italia. Sono bilingue quindi non ho preferenze per quanto riguarda la lingua, ho sempre parlato entrambe. Amo molto i miei paesi d’origine, ho lasciato un pezzo di cuore in entrambi. Mi sento di dire però che l’Italia è ammirata in tutto il mondo per la sua bellezza, nonostante tutte le sue aporie. Mi sento fortunata ad essere nata nella mia Roma.
Sto lavorando a qualcosa in italiano, non lo nascondo. Sto anche lavorando ad un nuovo singolo con vibes molto cubane. Chissà se forse tutti questi “progetti” faranno parte di un album in futuro… Per ora mi godo l’estate, i miei amici, il mare, la musica. Attualmente mi sto concentrando sulla promozione del singolo e del video estivo Song N.5.

BITS-CHAT: Crescere non è una fatica. Quattro chiacchiere con… Alessandro Casillo

Toccare il successo, fermarsi, crescere, e ripartire. Ancora qui, ancora da qui.
Si potrebbero descrivere con questi pochi flash gli ultimi tre anni di Alessandro Casillo: nel 2011 il pubblico lo conosce a Io canto, il programma di Canale 5 dedicato ai giovani talenti, mentre l’anno dopo è già sul palco di Sanremo, dove conquista il primo piazzamento tra le Nuove proposte con È vero (che ci sei).
Negli anni successivi seguono live, due album e tutto il turbinio che il musicbiz inevitabilmente comporta. Fino a quando Alessandro decide che è il momento di tirare il freno, almeno per un po’, perché fuori c’è la vita che chiama.
Lo scorso giugno Alessandro è tornato con un nuovo singolo, ma soprattutto con una nuova maturità. Eccolo, Ancora qui.
Alesssandro Casillo_Cover Ancora Qui 3000x3000_m
Ancora qui
è il titolo del tuo ultimo singolo, ma è anche molto di più. Quando e perché hai capito che era il momento giusto per tornare sulle scene?

L’ho capito nel momento in cui ho ascoltato per la prima volta questo brano scritto da Emiliano Bassi, autore anche di È vero (che ci sei). Sin dalla mia vittoria a Sanremo, siamo sempre rimasti in contatto e quando lui mi ha proposto questa canzone devo dire che ho subito pensato “ma questo sono io!” perché rappresentava al meglio il momento che stavo vivendo. Così ho sentito subito il bisogno di doverlo condividere con il mio pubblico e di tornare.

In questi anni di lontananza dai riflettori cos’è successo?
Sono cresciuto, ho concluso gli studi, cercato un lavoro e mi sono reso indipendente dalla mia famiglia. Sono impegnato dalla mattina presto al pomeriggio tardi e mi dedico alla musica di notte o nei giorni di pausa, ma sono contento così perché faccio comunque tutto quello che mi piace e soprattutto non peso sulla mia famiglia.

I primi versi della canzone recitano “Ora ti ricordo chi sono, ero insieme a quelli che dicevano andremo lontano”: tu, oggi, quanta strada pensi di aver fatto rispetto al ragazzo che tre anni fa ha deciso di prendersi una pausa?
Quando ho vinto il Festival di Sanremo, avevo solo 16 anni e ora che ne ho 22 sono cambiate tante cose. Mi sono allontanato ad esempio dalle persone che mi cercavano solo perché andavo in televisione o facevo concerti e ora mi circondo solo di chi tiene davvero a me e mi ha sempre sostenuto, anche durante questi anni di lontananza dal mondo della musica.

Quando hai scelto di fermarti eri consapevole dei “rischi” a cui andavi incontro? Non hai avuto paura che quando saresti tornato il pubblico potesse essersi un po’ dimenticato di chi eri?
Ho sempre avuto un bel rapporto con i miei fan, ma in effetti non aspettavo mi stessero così vicino anche in questo lungo periodo di pausa. Ormai escono ogni giorno nuovi artisti dai talent o da Youtube ed è purtroppo facile finire nel dimenticatoio. Fortunatamente, ripeto, ho un pubblico molto affezionato che continua ancora oggi a scrivermi e a farsi sentire presente attraverso i miei social.

Ti è costata fatica prendere questa decisione o hai capito che per te era la cosa più giusta in quel momento?
No, non mi è costato nulla perché questa pausa è stata molto salutare. Ho imparato a impegnarmi e a lavorare sodo, ancora di più di quanto avessi fatto prima e mi sono assunto delle responsabilità da persona adulta. Questo significa crescere, e crescere non è mai una fatica. A dire il vero sono fiero della vita che sto conducendo e delle scelte che ho fatto.
Alessandro Casillo_4-foto di Mattia Biancardi 2_m
Spesso i talent vengono ancora accusati di creare illusioni per i giovani che vi partecipano: per quella che è stata la tua esperienza, cosa ti senti di rispondere?
Per come ho sempre vissuto io le mie esperienze, non mi sono mai illuso, anzi proprio per questo, dopo un periodo di grande successo e consapevole del fatto che un giorno tutto questo potesse finire, ho pensato al cosiddetto piano B, iniziando a lavorare per un’azienda di caldaie. Mi sono diplomato e mi sono cercato un lavoro per poter aver sempre qualcos’altro su cui contare nel caso le cose fossero andate male. Ho sempre vissuto pensando che tutto ciò stavo facendo fosse un punto di partenza per una nuova sfida piuttosto che un punto d’arrivo.

Questo nuovo singolo anticipa un nuovo album?
Sicuramente anticipa un singolo nuovo che uscirà a breve e un disco, che sto scrivendo, ma su cui non posso dare ancora notizie precise.

Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione?
Posso considerarmi un po’ ribelle io stesso visto che ho fatto una scelta un po’ controcorrente rispetto a quella di molti miei coetanei che, al posto di lavorare sodo e assumersi le proprie responsabilità, non hanno trovato ancora la loro strada. Quindi direi che essere ribelli oggi voglia dire andare controcorrente e fare delle scelte diverse da quelle che magari gli altri si aspettano da te.

BITS-CHAT: “Solitudine? No, libertà”. Quattro chiacchiere con… Luana Corino

Luana Corino 2
Gli inizi come LaMiss, poi un periodo di pausa e l’anno scorso il ritorno con il suo nome, Luana Corino, e l’EP M.W.A vol. 1, anticipato da un brano agguerritissimo di riscatto femminile come Lucille.
Adesso per Luana è la volta di Gita al mare, un singolo dall’atmosfera serena e all’insegna dell’indipendenza: la storia è quella di un amore finito, un lui fuggito senza troppe spiegazioni e una lei rimasta sola, ma ancora abbastanza forte da trasformare la solitudine in orgogliosa manifestazione di amore per se stessa.
La storia di una donna libera, con le idee molto chiare anche quando si parla di un ambito maschilista come l’r’n’b italiano.
35052762_10161117229795725_4713252211042287616_n
Ascoltando il tuo ultimo singolo, Gita al mare, si ha subito l’impressione di percepire un mood diverso rispetto a quello che avevamo trovato lo scorso anno nell’EP M.W.A. vol. 1: è così? Si è aperta per te una nuova fase?

Diciamo che un progetto ufficiale rispetto a un mixtape parte già con altri presupposti. Nutro aspettative diverse verso me stessa e quello che voglio raccontare. Quando si tratta di lavorare a degli inediti diventa un vero e proprio lavoro di squadra, un insieme di energie che inevitabilmente danno alla luce qualcosa di molto più intenso. L’approccio a un mixtape è molto più easy e disinteressato… nell’EP, che uscirà dopo l’estate, e in Gita al mare, sto cercando di dare il massimo sotto ogni aspetto creativo.

Come hai sviluppato l’idea del pezzo e del video, dove sei l’assoluta protagonista?
Come spesso accade alle idee migliori, vengono e basta, come un fulmine a ciel sereno. Sentivo la necessità di parlare di questa storia, sotto alcuni punti di vista, autobiografica. Ce l’avevo sulla punta della lingua e della penna, e ho aspettato di stare abbastanza male per ricordarmene. L’ho scritta in un giorno e il video era già nella mia testa. Da quando lavoro nel campo dei videoclip, è difficile per me scrivere un pezzo e non visualizzarlo, ormai per me il video non è altro che il completamente di una canzone.

Che valore ha nella tua vita e nel tuo lavoro l’indipendenza?
È il fulcro della mia esistenza. Essere indipendenti per me significa essere liberi. Sarà brutto da dire ma non sopporto di affidare ad altri la responsabilità di decisioni per me importanti. Voglio avere il privilegio di poter scegliere cosa fare, come farlo e quando. La vita è una e i tempi della discografia sono molto lenti. Se decidono che non sei il loro progetto principale, un’etichetta, spesso una major, può parcheggiarti là anche per quattro o cinque anni, rubandoti gli anni migliori. Ho visto tantissimi artisti rinunciarci nonostante il talento e questa cosa mi ha portato a non provane nemmeno mai a proporre un mio progetto a un’etichetta che non fosse indipendente.

Quali sono gli artisti di riferimento e i modelli con cui sei cresciuta?
Michael Jackson in primis, da sempre: la disciplina, la dedizione e il perfezionismo a cui ci ha abituato durante tutta la sua carriera sono stati per me grande fonte di ispirazione. Janet Jackson, per la sua vocalità e gli arrangiamenti vocali, e sicuramente Beyoncè, che soprattutto negli ultimi anni ci sta dimostrando come una donna sta al comando.
Luana Corino
Cosa puoi già anticipare del nuovo EP? Si tratta del seguito di M.W.A. vol 1?
Si chiamerà Vertigini, parla di donne, del loro modo di affrontare l’amore , delle loro fragilità, della loro forza e complessità. Sarà molto intimo, anche molto sfacciato. Non mi sto trattenendo in nulla, sto cercando di scrivere nel miglior modo che conosco.

Nel panorama urban italiano è difficile trovare nomi femminili che si possano contendere la scena con gli uomini: le eccezioni ci sono (vedi Baby K), ma l’impressione è che le donne dell’hip-hop e dell’R&B italiano debbano accontentarsi dell’underground. Secondo te perché succede?
Ci sarebbe un discorso molto lungo da fare, che cercherò di semplificare il più possibile, dando solo degli spunti di riflessione. L’ambiente urban, in generale, e quello hip-hop, nello specifico, sono ancora a prevalenza maschile. Nonostante negli anni i mezzi per autoprodursi siano diventati sempre più accessibili, l’emisfero femminile non si è ancora abituato all’idea di poter creare dei prodotti indipendenti senza doversi avvalere per forza del supporto maschile. Sulla base di questi presupposti si somma anche la difficoltà di fare gioco di squadra. Ci hanno sempre abituato all’idea che ci sia posto per una sola donna alla volta, questo inevitabilmente mette tutte in estrema competizione. Cambiare la nostra mentalità e imparare a fare più gioco di squadra potrebbe migliorare le cose. Ma, per ora, ho l’impressione che siamo ancora molto lontane da fare questo passo. La carriera artistica di una donna è meno longeva: dopo i 25 anni subentrano le responsabilità di cui spesso una donna, per natura, se ne fa più carico rispetto a un uomo. In alcuni casi subentra la maternità e, nel caso di un artista indipendente, soprattutto se la musica non diventa anche il tuo lavoro entro i 30 anni, spesso è motivo di abbandono o rallentamento creativo. Poi, per quanto riguarda l’R&B nello specifico, beh, è un genere che va studiato e approfondito, senza contare che in Italia non ha ancora una rilevanza discografica, probabilmente proprio per la scarsità di artisti che lo fanno). Oltre a me e a Martina May non conosco altre ragazze con un background solido che hanno contribuito o stanno contribuendo a sfamare il pubblico con prodotti di un certo livello, ma posso permettermi di parlare per noi due e dire che vige stima, amicizia e supporto, proprio perché desideriamo un cambiamento e vediamo le cose sotto un altro punto di vista.

Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione?
Non aver paura di essere coerenti con se stessi e i propri gusti, rispettarsi senza temere di andare contro corrente. A volte fare cose che vanno contro le necessità o le richieste popolari è molto difficile, la tendenza è quella di omologarsi facendo i “ribelli” per finta. Per me ribellione significa guardare in faccio i propri sentimenti e raccontarli apertamente senza aver paura di sembrare deboli.

BITS-CHAT: Musica per salvarsi. Quattro chiacchiere con… Simone Da Pra

Foto Simone Da Pra_b (1)
Ogni dolore non ha spiegazione, e per ogni dolore non siamo mai preparati. Anche per quelli inevitabili, quelli che sappiamo che la vita ci sbatterà in faccia prima o poi: quando arrivano, il colpo si fa sentire.
A noi resta la possibilità di elaborarli per trarne qualcosa di buono. Qualcosa che a volte ha il suono e le parole della musica.
Così ha fatto Simone Da Pra.
Nel 2001, la morte di sua madre, avvenuta per mano di un uomo che non accettava il rifiuto alle sue avances.
Una tragedia a cui Simone, all’epoca adolescente, ha saputo reagire con il rap.
Il suo esordio nella musica è datato 2002 sotto lo pseudonimo Oxi. Dopo alcun lavori e collaborazioni con Ensi, Raige e Mondo Marcio, nel 2015 pubblica l’EP Libero, il primo firmato con il suo vero nome: all’interno, anche Potrei essere proprio lei, brano contro la violenza nato dalla sua tragedia familiare e realizzato con il patrocinio di Amnesty International, e L’amore è amore, manifesto contro le discriminazioni.  

Oggi, dopo un periodo difficile e la morte del nonno, Simone torna a dar voce alla musica con Passerà.
Foto Simone Da Pra_b
Vorrei partire dal titolo del tuo ultimo singolo, Passerà: va inteso come una presa di coscienza o come una speranza per te stesso?

Nasce come una speranza, in senso che se non credi possibile una cosa, quella non potrà accadere per puro caso o magia nera. Ma farei un passo indietro per capire meglio come sono andate le cose. Venivo da un brutto periodo, la perdita di mio nonno che per me è stato l’unica vera famiglia che abbia mai conosciuto. A quel momentaccio, come se non bastasse, si sono aggiunti ed amplificati i soliti problemi che mi portavo avanti da un’intera vita: a casa mia non si è mai parlato, non ho mai visto nessuno darsi un bacio, un abbraccio e purtroppo con qualcuno in particolare ho sempre avuto un pessimo rapporto; ed è proprio qui il punto, è una vita che mi sento deriso con battutine poco intelligenti a tavola e umiliato a parole, parole che oggi ho smesso di sopportare andandomene di casa perché purtroppo certe persone non cambieranno mai. Oggi vedo la cosa in maniera diversa, oggi ho la forza di guardare avanti ma in quel periodo non era così. In quel periodo quelle stupide parole sono state la ciliegina sulla torta, sono arrivato ad odiarmi. Avevo perso l’appetito, il sonno, le motivazioni e la speranza.

Nonostante questo non sia per te un vero e proprio esordio, possiamo considerare questo singolo come un nuovo inizio?
Questo singolo è a tutti gli effetti un nuovo inizio: Passerà è cadere 100 volte e rialzarsi 101. Guardare avanti, ricominciare a vivere e sognare. Artisticamente parlando poi c’è da dire che sono inattivo da tre anni, stare così tanto tempo nelle sabbie mobili decreta la morte di un artista, la gente si dimentica che esista e quindi anche sotto questo aspetto è un “ricominciare da meno di zero”, con più voglia e determinazione che mai.

E’ stato più difficile elaborare il dolore o scegliere di condividerlo con il pubblico mettendolo in musica? Non hai mai avuto paura di scoprirti troppo?
La paura mi ha sempre bloccato, in tutto. La paura uccide! In questa vita ho avuto paura di guardare in faccia la realtà dopo la perdita di mia madre, ho avuto paura di essere troppo diverso dagli altri, ho avuto paura di quella persona che non mi ha mai accettato e per anni mi ha soltanto sminuito ferendomi a parole. La paura stava ogni giorno dietro l’angolo e io lentamente soffocavo. La musica mi ha fatto scoprire così tanto che, al posto di questo singolo inizialmente, era previsto un mini album dal titolo Nudo, poi è nata questa canzone e ha cambiato un po’ le carte in tavola, musicalmente come nel privato.

Pensi di poter dire che la musica ti ha salvato la vita?
La musica mi ha salvato la vita più volte, per me scrivere è terapeutico, non importa se la gente vorrebbe più canzoni in cui si parla di patatine fritte, zucchero a velo, capelli colorati o erba pipa. Io non gli darò mai tutto questo, io scrivo per raccontare qualcosa, qualcosa che abbia senso di essere raccontato.
Simone Da Pra_cover singolo Passerà_b
Le sonorità del brano, che vedono anche il lavoro di Big Fish e Marco Zangirolami, sembrano ricondurre a uno stile ibrido, tra il rap e il nuovo cantautorato melodico. Ti trovi d’accordo? Chi sono i tuoi artisti di riferimento, quelli con cui sei cresciuto?
Sono cresciuto con una miriade di artisti a partire dai Sottotono e gli Articolo 31 fino ad arrivare a Fabri Fibra che in adolescenza mi ha sconvolto la vita, io volevo essere lui! (ride, ndr). Oggi non mi cambierei con nessuno al mondo, forse proprio perché per la prima volta non mi sento di assomigliare a nessuno e anche se la strada è ancora molto lunga trovo non ci sia niente di più bello dell’essere se stessi in un mondo di fotocopie. So benissimo comunque che dovrò lavorare molto su me stesso per migliorarmi.

Possiamo aspettarci presto un nuovo album?
Mi piacerebbe molto mettere insieme più pezzi ed avere un album tutto mio ma andiamo con calma, uno scalino alla volta, da qualche giorno a questa parte sento il richiamo alla scrittura, appena sarò un po’ più libero una di queste notti scriverò. Vediamo cosa ne uscirà. Mi piace pensare ad un nuovo singolo.

Qual è, oggi, il più grande augurio che fai a te stesso?
Stare bene, lasciare andare completamente le ansie, le paure e le persone negative. Non dimenticare mai più quanto valgo. Sorridere, vivere.

Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione?
Ti ribelli quando qualcosa non va, quando sei messo alle strette o incatenato a qualcosa, ti ribelli quando ti vuoi bene, altrimenti te ne freghi e vivi passivamente, imbalsamato come questo nostro Paese che non cambia mai. Mi piace il termine “ribelle”, mi ci ritrovo molto. La ribellione è libertà.

BITS-CHAT: Un pianoforte in volo nei teatri italiani. Quattro chiacchiere con… Enrico Giarretta

Lo chiamano “il cantaviatore”: quando non suona il pianoforte è al comando di un aereo e quando non sta solcando i cieli nella cabina di pilotaggio ha le dita impegnate sui tasti bianchi e neri. Enrico Giaretta da anni divide così la sua vita, tra la passione per il cielo e quella per le note.
Entrambe lo hanno portato lontano, la prima nel vero senso della parola, la seconda con la mente, ma muovendo addirittura la stima di Paolo Conte, che lo ha definito un “erede”. Dal 15 aprile scorso, Giaretta è impegnato in veste di opening act nella tournée acustica di Jack Savoretti nei teatri italiani. Poi sarà la volta di imbarcarsi su un nuovo album
Enrico Giaretta
Dal 15 aprile sei impegnato nella dqte italiane dell’Acoustic Night Live di Jack Savoretti: qual è lo stato d’animo?

Lo stato d’animo è quello delle grandi occasioni: tensione, come è giusto per uno spettacolo del genere, oltre a un grande rispetto. Sono un pianista che vive sullo strumento da circa 40 anni, nonostante ciò, l’idea di affrontare teatri tra i più prestigiosi in Italia mi crea uno stato d’animo di euforia misto a solitudine e malinconia, un insieme di sensazioni che trovano il loro naturale profilo nella forma della musica che è secondo me una sensazione per definizione. Come dicevo, grande rispetto che devo soprattutto a Jack che ha accettato di offrirmi il suo pubblico, gentilezza rara di questi tempi tra artisti. Ci tengo a dire che Jack Savoretti, oltre ad essere un grande artista, è anche un uomo di altri tempi, capace di farsi voler bene a prescindere. La nostra è un’amicizia iniziata da poco tempo che spero abbia seguito in futuro al di là del palcoscenico.

Come si è concretizzata questa collaborazione?
La nostra collaborazione si concretizza proprio da questo incontro amichevole avuto in auditorium al Parco della Musica di Roma, dove ho accompagnato Jack al pianoforte in alcuni suoi brani. Ci siamo trovati subito, credo che anche il suo pubblico abbia gradito, oltre a tutto lo staff di management e discografico. Dopo qualche tempo è arrivata la proposta di partecipare a questo tour acustico come ospite. Sono certo ci divertiremo molto.

Il tour si svolge nei grandi teatri italiani, alcuni dei quali con una grande storia alle spalle: tra quelle in programma c’è una data che aspetti con particolare curiosità?
Nei grandi teatri si ha sempre come una sensazione di irriverenza per tutti i fantasmi che hanno frequentato quei palcoscenici: uno su tutti, per quanto mi riguarda, il Teatro dell’Opera di Roma. Pochi lo sanno, ma da giovane, ho frequentato la scuola di danza per 8 anni. In quei tempi si parlava solo di danza classica e il Teatro dell’Opera era per noi una lontana visione irraggiungibile. Ci sono arrivato in qualche altro modo, in fondo sempre di danzare si tratta: anche tra le dita si nasconde agilità leggerezza ed eleganza.

Cosa suonerai?
Suonerò un’anteprima del mio prossimo disco in uscita, Alphabet, mescolando i vari temi in una improvvisazione strumentale, solo piano. Ho scoperto un nuovo modo di fare musica, poggiando le dita sulla tastiera e cercando nuovi colori armonici al di fuori di qualunque schema. Nel jazz lo chiamano free jazz, di cui Ornette Coleman è stato tra i maggiori esponenti: nel mio caso, che il jazz l’ho sempre solo sognato e poco praticato, potrei chiamarlo free classic, provenendo io dalla classica. Una cosa è certa, “free” è la parola che più mi rappresenta in quanto sono sempre stato uno spirito libero, anche troppo. Libero dagli schemi, libero nel tempo e nella forma. Magari prima o poi farò un album con questo titolo, che mi affascina nel suo più profondo significato.
Enrico Giaretta_3_b
L’impegno con il tour ti terrà lontano dai cieli?
Sicuramente il tour mi terrà con i piedi per terra per un periodo, ma la testa volerà molto in alto, tra le note. Il modo migliore per volare è con le immagini che puoi crearti da solo, puoi dipingere qualunque orizzonte o tramonto molto meglio con la fantasia piuttosto che nella realtà. Per quanto riguarda il volo reale, potrò riprendere le mie scorribande aeree subito dopo maggio, approfittando anche del bel tempo primaverile per qualche gita fuori porta. Il volo di linea per ora non fa più parte della mia vita, in futuro vedremo. Come cantava Dalla, “chissà, chissà domani… su che cosa metteremo le mani”.

Come accennavamo, presto uscirà anche il tuo nuovo album, Alphabet, che sarà pubblicato da Universal: puoi già anticipare qualcosa al riguardo? Il titolo, per esempio,a cosa fa riferimento?
Il mio nuovo disco avrebbe potuto chiamarsi True, inteso come verità totale. Suono un pianoforte di quasi 100 anni microfonato in ogni sua parte, compreso lo sgabello che a volte cigola, compresi i tasti che rumoreggiano sotto le mie dita, compreso il mio fiato che si fa più intenso nelle fasi musicalmente più colorate. Ho voluto offrire all’ascoltatore tutto me stesso e tutto lo strumento con la sua storia, uno Steinway & Sons che ha passato due guerre mondiali ed è arrivato fin qui, vivo più che mai. Tutto quello che c’è è totalmente improvvisato. Proprio da quelle improvvisazioni, mi sono “ritagliato” dei temi musicali che credo porterò con me per sempre.

Enrico Giaretta_2_b

Dopo la data di apertura al Teatro Ponchielli di Cremona il 15 aprile, l’Acoustic Nights Live di Jack Savoretti proseguirà con questi appuntamenti:
16 aprile 
– Teatro Dal Verme – Milano; SOLD OUT
18 aprile – Teatro Goldoni – Venezia; SOLD OUT
19 aprile – Teatro dell’Archivolto – Genova;
20 aprile – Teatro dell’Archivolto – Genova; SOLD OUT
21 aprile – Teatro dell’Archivolto – Genova;  SOLD OUT
21 maggio – Teatro dell’Opera – Roma;
22 maggio – Auditorium Manzoni – Bologna; SOLD OUT
23 maggio – Teatro Alfieri – Torino;
25 maggio – Teatro Verdi – Firenze;
26 maggio – Teatro Regio – Parma;
28 maggio – Teatro Filarmonico – Verona; SOLD OUT

BITS-CHAT: Una casa tutta bianca. Quattro chiacchiere con… Maurizio Chi

Maurizio 2_b
Per quante declinazioni di significato possa assumere nel corso del tempo e tra le diverse culture, il concetto di “famiglia” mantiene alcuni punti fermi: ad esempio, quelli di stabilità, accoglienza e sicurezza.
Un concetto talmente tradizionale che a volte viene dato per scontato, o peggio lo si considera superato, non più adatto a stare al passo con i tempi. Sarà forse per questo che i temi della famiglia e della casa non sono molto frequenti nelle canzoni, anche se poi diventano la meta di ricerca di chiunque.
Maurizio Chi, giovane cantautore catanese, ha provato a darne una personale visione nel suo ultimo singolo, Bianco, che arriva a due anni da Due, uno dei primi concept album interamente incentrati sulla vita di coppia tra un uomo e il suo compagno.

Contemporaneamente, è partito Musiche in miniatura, un particolare tour ambientato nei piccoli teatri d’Italia.
Foto Maurizio 3
Il tuo ultimo singolo, Bianco, affronta due temi molto significativi per la vita di ogni essere umano, soprattutto per i giovani: la famiglia e la casa. Cosa ti ha portato a dedicare un brano a due tematiche come queste, forse non molto frequentate nella musica? Già il tuo primo album, Due, era incentrato sulla coppia, quindi sembrerebbe un aspetto a cui tieni molto.
E’ un tema fondamentale in questo momento storico e proprio per questo ho voluto persistere con le canzoni contenute nel mio album perché le cose da dire erano parecchie. Io lotto ogni giorno per costruire un nucleo fondamentale come quello della famiglia, è un desiderio per il mio futuro ed è stata una realtà nel mio passato. Sono stato molto fortunato perché ne ho una bellissima ma si fugge troppo di frequente dall’idea di famiglia, di una casa, che poi è il luogo della condivisione.

Pensi che oggi il significato di famiglia, cioè di una vita costruita insieme a una o più persone, sia cambiato rispetto alle generazioni precedenti?
Certo, oggi non vale molto e per molti è quasi un impiccio, ognuno vuole la sua privacy , il suo spazio, il suo tempo e finisce per restare solo e restando solo ha la pretesa di essere compatito dal mondo. La famiglia non ti lascia mai solo se è ben costruita, esattamente come la casa tutta bianca di cui parlo nel brano, fatta di sani principi e di amore vero.

Credi che per la società di oggi la famiglia sia ancora una priorità? Vedi ancora nei tuoi coetanei la voglia di impegnarsi a costruire una vita insieme?
Nelle tue domande sono implicite le risposte: la famiglia non è per tutti una priorità e i miei coetanei nello specifico li vedo confusi. La generazione dell’83 è rimasta incastrata tra due epoche con valori completamente differenti e fatica a trovare un equilibrio, una stabilità.
28952021_1674730422593060_3354107065738985472_n
Questo singolo preannuncia già l’uscita di un nuovo album?
Il singolo preannuncia forse un nuovo singolo anche se l’album nuovo è già scritto ed anche in quel caso il tema è molto preciso. Bisogna solo trovare il momento migliore per dargli vita.

In concomitanza con l’uscita di Bianco, il 24 marzo è partito anche un nuovo tour molto particolare: Musiche in miniatura. Chi ha pensato a questa idea e come sono state scoperte e scelte le location in cui suonare?
L’idea folle è stata mia poi condivisa dal produttore e dagli altri artisti che ne fanno parte. Leggevo degli articoli sui teatri più piccoli d’Italia ed ho pensato che fosse una bella idea far rivivere la musica pop in quel contesto dove l’ascolto è inevitabile: nei club la gente è distratta e spesso infastidita dalla musica, a teatro tutto rinasce e sembra che ogni pensiero ogni nota vada al posto giusto.

In questo tour non sarai solo, ma ad accompagnati ci saranno Celeste e Viviana Zarbo: come è nata l’idea di questa particolare collaborazione?
Abbiamo in comune la nostra produzione e per me era bello, ma del resto non sono nuovo a questo tipo di collaborazioni, condividere il palco con due brave interpreti, ognuno con la sua personalità, con il suo cuore.

Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione?
Avevo risposto già a questa domanda in passato, ma la cosa più bella è che ogni volta ha un significato diverso: oggi la ribellione per me è la famiglia, mi sento ribelle quando contro tutti proteggo la mia casa ed i miei equilibri familiari che sono il bene più grande che possiedo.

Queste le prossime date di Musiche in miniatura:
19 aprile – Teatro Accademico – Castelfranco Veneto (TV) – Veneto
24 aprile – Teatro Comunale Flora – Penna San Giovanni (MC) – Marche
26 aprile –Teatro Donnafugata – Ragusa Ibla (RG) – Sicilia

BITS-CHAT: Non parlo (quasi) più d’amore. Quattro chiacchiere con… Giuseppe Anastasi

3. Giuseppe Anastasi_foto di Mirta Lispi_b
Sincerità
, La notte, Meraviglioso amore mio, Controvento, Il diario degli errori
Sono tutte canzoni che almeno una volta ci siamo ritrovati ad ascoltare, senza sapere, forse, che avevano tutte qualcosa in comune: la firma. Per la precisione, quella di Giuseppe Anastasi.
Siciliano di Palermo, classe 1976, dopo una luna gavetta trascorsa a Roma, Anastasi è oggi uno degli autori di maggior successo della musica italiana, ma in tutti questi anni passati a scrivere per altri non aveva mai pensato che anche quello del cantante potesse essere un lavoro divertente.
Poi qualcosa è cambiato, e lo scorso 19 gennaio è uscito Canzoni ravvicinate del vecchio tipo, il suo primo album, in cui ha raccolto 11 brani old style. In cui ha messo pochissimo amore.

Copertina Album_Giuseppe Anastasi
Cosa sono queste canzoni ravvicinate del vecchio tipo?

Sono canzoni in cui c’è poca elettronica. Non perché la strumentazione acustica sia necessariamente old style, ma è innegabile che oggi la maggior parte delle canzoni sia piena di elettronica, io invece ne ho usata pochissima in tutto il disco. Sono canzoni del vecchio tipo anche perché sono attraversate da una logorrea di parole: i testi sono lunghissimi, come nella tradizione cantautorale italiana. Ecco perché si possono definire un po’ rétro.

I tuoi riferimenti artistici arrivano quindi da lì?
Sono nato con i cantautori e sono 19 anni che lavoro con Mogol: avendo 42 anni, sono old style anche in questo. Battisti, De Andrè, De Gregori, Fossati, Guccini, Vecchioni, Concato, Dalla… Tra gli artisti internazionali posso citare i Queen, i Beatles. Tutti ascolti molto standard.

Il disco è uscito quest’anno, nonostante tu sia attivo come autore già da anni. Come mai non hai pubblicato prima?
Non ci avevo mai pensato davvero, ma il motivo principale che mi ha spinto a pubblicare ora un disco è stata la paternità, che mi ha fatto trovare una nuova forza e una visione più attenta del futuro, con il pensiero proiettato su qualcun’altro al di fuori di me: anche per questo non ci sono canzoni d’amore, o comunque parlo di un amore diverso, anche se forse il pubblico mi conosce principalmente per La notte, Controvento o Il diario degli errori. Volevo a lasciare un messaggio diverso, concentrandomi di più sulla quotidianità. Se avessi saputo che diventare padre sarebbe stato così figo l’avrei fatto prima!

Sono quindi tutte canzoni nate nell’ultimo periodo?
Negli ultimi due anni, dopo la nascita di mio figlio. Soltanto due me le porto dietro da un po’, le altre sono frutto dell’esperienza di padre.

Quando scrivi pensi a un eventuale interprete a cui poi affiderai il brano?
Io scrivo quando ho qualcosa da dire, e lo faccio come una forma di auto-analisi per evitarmi lo psicologo. In fase di scrittura non penso mai a chi potrebbe andare un brano, quello è un passaggio che avviene dopo, insieme al mio editore. Ogni canzone ha una sua vita e una sua storia: La notte, per esempio, è rimasta nel cassetto per sei anni prima di essere proposta ad Arisa.

Ricominciare, uno dei singoli del disco, racconta la storia, vera, di un uomo che si ritrova a dover ripartire dopo i quarant’anni senza un lavoro. A te è mai capitato di dover ripartire da qualcosa?
La storia che racconto è quella di un mio amico, un mio coetaneo. Io sono ripartito tante volte: quando mi sono trasferito dalla Sicilia a Roma per fare il cantautore mi sono ritrovato a fare un sacco di lavori diversi: ho lavorato anche come commesso in un negozio di animali. Ho fatto una gavetta di 10 anni, e quando vedi che il tempo passa e i tuoi desideri non si realizzano, la forza per andare avanti la devi trovare ogni giorno. Ricominciare significa però anche volersi migliorare, e quindi rimettersi in gioco, e quello lo faccio ancora ogni volta che mi rimetto a scrivere.

Che rapporto hai con la Sicilia, la tua terra, a cui dedicato Trinacria?
Un rapporto splendido, viscerale: sarò magari campanilista, ma la Sicilia è una terra straordinaria, per l’ambiente e il patrimonio culturale. È l’isola più grande del Mediterraneo, è passata sotto tantissime dominazioni, e quando lasci una terra così è difficile trovarne un’altra uguale. Chi nasce in Sicilia resta isolano per sempre, e si ritrova quindi un po’ isolato quando si trasferisce: ora vivo in Umbria, una delle poche regioni italiane a non avere il mare, e devo dire che mi manca poter vedere l’orizzonte.
Giuseppe Anastasi_Foto di Mirta Lispi _b
Prima hai accennato alla tua lunga collaborazione con Mogol. Come vi siete incontrati?
È stato il mio maestro quando frequentavo come allievo il CET nel 1999: è stato il primo a notare la mia propensione alla scrittura e mi ha proposto prima di fare l’assistente e poi di diventare docente della scuola, ruolo che ricopro ancora oggi. Da allora non ci siamo più staccati.

Come ti trovi in veste di insegnante?
È l’attività più bella di tutte. Potrei rinunciare a scrivere o a cantare, ma non all’insegnamento: mi dà molte soddisfazioni, ho un bel rapporto con gli allievi e mi piace aiutare come posso chi secondo me lo merita. Quando mi fanno leggere o ascoltare le cose che scrivono sento che si fidano di me, perché nel mostrare agli altri una canzone devi superare il pudore. Mia madre è un’insegnante, forse questa vocazione l’ho ricevuta da lei.

In queste settimane stai presentando il disco dal vivo: che accoglienza hai trovato da parte del pubblico?
Essendo la prima volta che ci metto la faccia, sono molto contento: sia la data di Roma che quella di Milano hanno radunato molta gente. A Roma me l’aspettavo un po’ di più, mentre l’accoglienza di Milano mi ha stupito. Superati i quarant’anni sto imparando un mestiere nuovo, e sto imparando che cantare mi piace. 

Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione?
È un concetto che associo molto a quello di saturazione: la ribellione arriva quando non ce la fai più, è una reazione umana, un istinto. Come l’amore o l’amicizia, è un elemento umano, e senza ribellione non ci sarebbe progresso umano. È una forma di democrazia.

Queste le prossime date dal vivo:
13 aprile – Isola (Slovenia), Palazzo Manzioli
22 maggio – Bologna, Bravo caffè
27 maggio – Roma, Auditorium Parco della Musica

 

BITS-CHAT: Ci piace (ancora tanto) Chopin. Quattro chiacchiere con… Gazebo

GAZEBO Homestory in Rom (I)

Diciamoci la verità, gli anni ’80 non se ne sono mai del tutto andati.
Nella musica come nella moda, non si contano i riferimenti più o meno latenti ancora oggi legati a un decennio che ha sconvolto le regole esistenti imponendone di nuove. Erano anni di sperimentazioni, ma soprattutto di elettronica; gli anni della italo disco, quel glorioso fenomeno musicale che ha scosso le classifiche europee, e anche oltre, partendo direttamente dall’Italia: Easy Lady, Self Control, Tarzan Boy...
Tra i protagonisti, anche Paul Mazzolini, conosciuto dal pubblico come Gazebo: nato a Beirut da padre friulano e madre statunitense, negli anni ’80 ha lasciato il segno con singoli come Masterpiece e I Like Chopin, per proseguire poi la carriera durante i decenni successivi.
Oggi rende Gazebo rende omaggio alla italo disco con Italo By numbers, una raccolta di successi, suoi e dei colleghi, tutti rigorosamente italiani. Tranne uno.
ItaloByNumbers_Cover_2
Italo By Numbers
. Perché?

Italo è un diretto riferimento alla italo disco, quel genere che negli anni ’80 ha avuto un successo enorme, facendo vendere a noi che ne facevamo parte qualche milione di copie. I numbers sono invece da una parte i numeri delle classifiche che hanno segnato il successo di queste canzoni, e dall’altra sono i numeri che compongono i disegni delle Settimana Enigmistica. In America li chiamano “drawings by numbers”, ed è per questo che ho voluto riportarli anche sulla copertina del disco: unendo i numeri si scopre Trinità dei monti, che simboleggia un po’ tutta l’Italia. Anche la Lambretta è un rimando a quegli anni.

A proposito di copertina, è molto interessante anche quella sul retro, e che fa da cover all’edizione in vinile.
Abbiamo voluto giocare sullo stile di Arcimboldo, ricostruendo il mio volto non con la frutta e la verdura, ma con i pezzi della strumentazione dell’epoca. Rappresenta un po’ l’altra faccia della italo disco, cioè l’elettronica. A differenza della disco music, che ha caratterizzato gli anni ’70, la italo disco è infatti figlia della new wave ed era tutta basata sull’elettronica e i sintetizzatori. Masterpiece, il mio primo singolo, era di fatto un brano new wave. L’approccio era piuttosto semplicistico, con la batteria programmata dalla drum machine: si creava musica adatta per ballare. In un certo senso, la italo disco è stata un’antesignana della house, intesa come musica creata in piccoli studi e con pochi mezzi a disposizione.

Da quella montagna di eredità, come sei arrivato alla selezione dei brani?
Penso di aver toccato solo la punta dell’iceberg: ho scelto i primi che mi sono venuti in mente, quelli a cui ero più legato per vari motivi. Self Control di Raf è un brano poderoso, mentre Survivor l’ho scelta per l’affetto che mi legava a Francesco (Puccioni, nome anagrafico di Mike Francis, ndr), che purtroppo ci ha lasciati alcuni anni fa. Ho guardato soprattutto alla scena romana dell’epoca perché noi a Roma eravamo pochi, e con meno mezzi di Milano, ma forse compensavamo con più poesia e maggiore qualità. L’intento non è stato comunque quello di stravolgere quei brani, ma far conoscere un mondo diverso ai ragazzi di oggi, che riescono ad apprezzarlo perché ci ritrovano i suoni che ascoltano in discoteca. La differenza è che all’epoca c’erano le strofe, le strumentali, pezzi suonati davvero.

Quindi l’elettronica si incontrava con la tecnica.
Per fare musica dovevi saper suonare. Venivamo dagli anni ’70, che avevano visto la grande esplosione del progressive, le influenze della musica classica. Avevamo un background pazzesco. L’elettronica era un colore in più, ma alla base c’erano musiche “suonate”. Oggi si può fare musica sul tram, utilizzando semplicemente un tablet, ma senza sapere cosa si sta facendo. I DJ non conoscono le tecniche per fare musica, e ne ho avuto le prove conoscendo quelli che sono venuti in studio da me. Tutto si basa sulla cassa in 4 tempi, con il solo scopo di far ballare: negli anni ’80 invece si ballava, ma soprattutto si cantava, e dopo un brano di italo disco potevi sentire un pezzo black o l’elettronica dei Kratwerk o un pezzo rock, oppure anche un pezzo di puro pop come Sarà perché ti amo.
CopertinaB_b
Nonostante il grande successo, all’epoca la italo disco è stata considerata un genere di serie b. Perché secondo te?
In molti casi si pensava di più alle vendite che a produrre musica di qualità; inoltre, i cantanti cambiavano spesso, qualche volta erano dei veri e propri turnisti, oppure si usavano dei modelli per i video e le esibizioni in playback. Insomma, la percezione era quella di un genere minore, snobbato dall’intellighenzia della discografia che preferiva la musica impegnata dei cantautori, anche se spesso si trattava di cloni degli stranieri. Eppure con la italo disco l’Italia per la prima volta ha esportato qualcosa all’estero, con ottimi risultato tra l’altro: un fatto che non si è mai più verificato. I Pet Shop Boys venivano in Italia per ispirarsi alla nostra musica, e lo hanno dichiarato loro, la stessa cosa per i Modern Talking, un gruppo tedesco nato proprio grazie a I Like Chopin.

Gli anni ’80 fanno pensare anche a un grande coraggio di osare e sperimentare, nella musica ma anche nell’immagine. Un’audacia che forse oggi è stata confinata all’underground.
La verità è che siamo andati incontro a un’uniformazione, in discoteca così come in radio, e questo ha portato al terrore di sperimentare, perché se fallisci perdi soldi. Oggi governa la triade talent-radio-major discografiche e un talento, prima che musicale, deve essere televisivo: ti selezionano, ti spremono, ti fanno fare un singolo, se ti va bene fai l’album, altrimenti arrivederci e grazie. Il tutto con conseguenze psicologiche devastanti. In un meccanismo così, gente come Battisti, Dalla o Battiato non avrebbe avuto alcuna possibilità di emergere.

Secondo te l’Italia può avere ancora la possibilità di tornare a dettare moda in campo musicale, come è stato negli anni ’80?
Gli anni ’80 sono stati un periodo molto particolare: l’Italia usciva dagli anni di piombo, dalla contestazione, dalla crisi petrolifera; l’entusiasmo era a mille. Poi è successo alla Spagna, con la fine del Franchismo, e così per tutti i Paesi, portando come conseguenza la nascita di fenomeni singoli. Oggi invece è più difficile trovare movimenti di questo tipo, tutto si muove più compatto e su scala globale, dalla musica alla moda, e una buona parte di responsabilità ce l’hanno in questo i social.

GAZEBO Homestory in Rom (I)
Nel disco c’è anche un inedito, La Divina. Ma è un vero esemplare di italo disco rimasto nascosto fino a oggi o è nato negli ultimi anni?
Per usare un termine tanto in voga oggi, direi che è un fake degli anni ’80! Tutto è nato da Untouchable, un brano che mi è stato mandato da un musicista greco mio fan, e che avevamo pensato di affidare a un artista fittizio chiamato George Valentino, da Giorgio Armani e Valentino, operazione frequente negli anni ’80. Poi una sera ho visto uno speciale dedicato a Maria Callas e mi è venuto in mente il mio maestro di canto di quando ero ragazzo, Alberto, un cantante lirico che nutriva per la Callas un’autentica venerazione. Passava più tempo a parlarmi di lei che a insegnarmi a cantare! Era omosessuale, e per questo diceva sempre di essere stato messo da parte. A metà degli ’90 l’ho incontrato di nuovo, camminando un giorno per Roma. Viveva da clochard in una roulotte fatiscente. Passava le giornate ascoltando le registrazioni della Callas da una vecchia radiolina e nella roulotte aveva una sua gigantografica che guardava come se lei fosse davvero lì presente. Il giorno dopo sono tornato, volevo aiutarlo, ma di lui e della roulotte non c’era più traccia. Da questo ricordo ho scritto di getto il testo della canzone, scegliendo per la prima volta di cantare in italiano. Ne faremo anche un video ispirato proprio ad Alberto.

Pensando all’immensa eredità degli anni ’80, c’è qualcosa di cui avremmo potuto fare a meno?
Oltre alle spalline e ai capelli cotonati? (ride, ndr) Non me la sento di fare esempi, ogni decennio ha le sue caratteristiche: forse tra dieci anni guarderemo con orrore i tatuaggi dei millenials.

Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione?
La ribellione è l’essenza stessa dell’identità: ribellandosi, una persona impone la sua personalità. Se nessuno si ribellasse, saremmo tutti degli ectoplasmi. Da darwinista convinto, penso che l’evoluzione stessa della vita sia il risultato di un atto di ribellione avvenuto nel corso dei millenni. Senza ribellione, tutto sarebbe rimasto fermo, stagnante.

Video realizzato sul set del videoclip di La Divina:

BITS-CHAT: Toccare il fuoco. Quattro chiacchiere con… Eman

Uno dei più celebri episodi della mitologia classica è quello di Icaro, figlio del leggendario architetto e inventore Dedalo: con le ali di cera realizzate dal padre per scappare da Creta, il giovane volò così tanto vicino al sole da precipitare tragicamente in mare.
Una storia di un volo e di una caduta, ma soprattutto di uno disubbidienza e di un limite infranti in nome della libertà, da cui Emanuele Aceto, ai più conosciuto come Eman, è partito per il racconto del suo nuovo singolo, Icaro, apripista di un album di prossima pubblicazione.
Eman - Icaro (cover)_b
Perché la scelta di anticipare il nuovo album proprio con Icaro?

Sembrava il brano più idoneo, è il sunto perfetto della mia musica, che è prettamente elettronica con tanti “graffi” e accompagnata da una scrittura evocativa, che procede per immagini. È un brano di rottura: avevamo già pronti anche altri brani, forse più semplici, ma Icaro è quello che mi rappresenta di più.

Trovo interessante il lavoro che hai fatto sul testo: sei partito dal riferimento al mito classico per spingerti un po’ più in là con l’interpretazione.
Il mito di Icaro mi sembra un una metafora della vita, così come lo intendo io: ho voluto rappresentare un viaggio esistenziale con i suoi obiettivi e le sue ambizioni, ma anche le sue ambizioni. È una storia che si inserisce nel concept più ampio che svilupperò nell’album. L’uomo può fallire, può cadere, e proprio nella caduta sperimenta i suoi limiti e la sua natura, vede fin dove può arrivare e scopre che magari quello che cerca è già dentro di lui.

Pensi che il limite sia qualcosa che bisogna sempre cercare di superare o qualche volta è giusto restare dentro ai suoi confini?
Credo che si debba sempre cercare una via per superare un limite, anche se ovviamente bisogna saper capire quando il limite è davvero troppo oltre. D’altronde, la storia umana è fatta di superamenti di limiti: è importante conoscere l’eccesso per capire fin dove si può arrivare, perché il fuoco brucia, ma fino a quando non lo tocchi non lo puoi sapere.
Eman 2_photo credit Henrik Hansson_b
Nel testo di Icaro parli di una paura che diventa seta. Che rapporto hai con la paura?
Ne ho tante, ma ogni giorno ci combatto e ci convivo. La paura è quello che ci mantiene vivi, soprattutto quando diventa qualcos’altro, come nel testo della canzone, e questo succede quando ci confrontiamo con paure o timori che pensavamo insormontabili.

Altri due concetti che tornano nel brano sono quelli di ambizione e fede. Come li vivi?
Quando parlo di fede, la intendo in senso molto ampio, non necessariamente religioso. Il lavoro che faccio si lega per forza a una fede e un’ambizione, perché mette insieme ciò che fai e ciò che vogliono gli altri. Nella vita, il coraggio stesso è un atto di fede.

Qualche giorno fa hai pubblicato sulla tua pagina Facebook un post dedicato alla città di Milano. Come ti trovi a viverci?
È un rapporto un po’ particolare. Ho iniziato a viverci quando ero già grande, perché gli studi ho voluto farli in Calabria e poi ho trascorso un periodo a Roma. Quando sono arrivato a Milano avevo quindi più di trent’anni, un’età in cui non sei più pronto ad adattarti a tutto come quando ne hai venti. Mi sono trovato catapultato in una città che mi ha chiesto tanto e alla quale ho dato tanto. Milano non ti fa mai capire se sei di casa oppure no: molti pensano che ti faciliti le cose, ma l’unica cosa davvero facile è spostarsi da un luogo all’altro con la metropolitana. Milano è come quelle cugine che non vedi spesso e con le quali non parli esattamente la stessa lingua, però capisci anche che ti piace trascorrerci del tempo insieme.

https://www.facebook.com/plugins/post.php?href=https%3A%2F%2Fwww.facebook.com%2Femanofficialpage%2Fposts%2F1907141242663838&width=500

Sull’album puoi già raccontare qualcosa?
Come anticipavo prima, sarà un concept, ma non voglio raccontare una storia troppo particolare: è un estratto di vita dei giorni nostri, che posso aver vissuto io, ma anche tu e chiunque altro, con gli amori, la solitudine, le avventure. Musicalmente sarà molto vario, come lo è già Icaro. La cosa strana è che molte persone notano questa varietà di suoni nelle mie canzoni, mentre per me e SKG, il mio producer, non è altro che il risultato di un modo naturale di lavorare. D’altronde, noi tutti siamo frutto di questi tempi, una fusione azzeccata di più generi.

Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione?
La ribellione è utilissima, è un atto giusto se viene fatto con intelligenza, serve a scuotere le coscienze che restano allineate sui preconcetti. L’atto di ribellione può avere varie forme, non deve essere per forza violento, ma è necessario.

Eman presenterà in anteprima live il suo nuovo album il 20 aprile al Largo Venue di Roma (via Biordo Michelotti 2) e il 27 aprile al Santeria Social Club di Milano (viale Toscana 31). Biglietti disponibili su Ticketone (bit.ly/Eman_T1) e Vivaticket (bit.ly/Eman_VT).

ASPETTANDOSANREMO: Dopo il ballo, il soul. Quattro chiacchiere con… Leonardo Monteiro

La musica l’ha avuta in casa fin da bambino, visto che è figlio di due ballerini brasiliani, e a lungo l’ha coltivata nel canto e nel ballo. A soli 28 anni, Leonardo Monteiro vanta infatti un curriculum di tutto rispetto, con esperienze Italia e all’estero: tra queste, la formazione alla Scala di Milano, il lavoro con Gheorghe Iancu allo Sferisterio di Macerata, e nel 2008 partecipazione ad Amici, il talent di Maria De Filippi, dove occupava uno dei banchi della classe di ballo.
Dopo essersi aggiudicato la finale di Area Sanremo, tra pochi giorni lo ritroveremo sul palco dell’Ariston, in gara tra le Nuove proposte con Bianca, un pezzo dalla influenze soul che parla della fine di una storia d’amore per un tradimento. Autore della musica è Vladi Tosetto, che nel ’95 aveva messo le mani anche su Come saprei di Giorgia. 
4_Leonardo Monteiro_foto di Domenico Lops_b
Perché la scelta di andare a Sanremo con Bianca?

Lo abbiamo scelto durante i provini, dopo aver ascoltato un po’ di proposte, e Bianca è sembrata la canzone più adatta. Ci tenevo molto a presentarmi con un brano che rappresentasse bene il mio mondo, e le atmosfere soul e gospel di Bianca rispecchiano le mie influenze.
Ti abbiamo conosciuto qualche anno fa ad Amici come ballerino, oggi ti ritroviamo come cantante: cos’è successo in questo periodo?
Ho sempre amato il canto, fin da quando studiavo danza alla Scala: cantavo e facevo il ballerino. Poi sono andato a studiare a New York, e mi sono reso conto che con la danza ero arrivato al massimo di ciò che potevo desiderare e ho iniziato a studiare canto seriamente, avvicinandomi al gospel. Quando sono tornato in Italia ho proseguito con lo studio della musica.
E sei anche arrivato ad insegnare…
Sì, per qualche anno ho insegnato canto alla scuola Cluster di Milano, gestita da Vicky Schaetzinger, che per anni è stata la pianista di Milva. Mi ha dato tantissimo, sia come donna che come insegnante: sono stato prima suo allievo, poi abbiamo suonato insieme tre ani all’Armani Bamboo Bar, dove lei mi accompagnava al pianoforte, e in seguito sono diventato insegnante della scuola. Avevo già insegnato danza, ma insegnare canto è diverso, ed è una soddisfazione vedere che quello che fai arriva agli allievi.
Oggi come vedi il tuo futuro, più vicino al canto o al ballo?
Sicuramente più vicino alla musica. Come dicevo prima, con il ballo ho ottenuto il massimo di quelle che potevano essere le mie ambizioni e le mie soddisfazioni: ho fatto esperienze bellissime, ho lavorato con il Complexion Contemporary Ballet, il Collective Body Dance Lab, ho fatto degli stage a Broadway, ma a un certo punto ho sentito che mi mancava avere davanti un pubblico che mi conoscesse, mi mancavano gli affetti di casa, e ho deciso di tornare.
A un’esperienza nel musical non pensi?
Sono sincero, i musical non mi entusiasmano molto, preferisco vederli da spettatore. Piuttosto, per unire musica e danza, penso a qualche esperienza con i videoclip.
Cover Bianca Leonardo Monteiro
Quali sono gli artisti che ti hanno maggiormente influenzato?
Quando ero più giovane ho ascoltato molto Stevie Wonder, Giorgia, che ha segnato a lungo la mia vita, Michael Jackson.
Hai già un album in preparazione?
Ho scelto alcuni pezzi e sto registrando: il disco uscirà dopo Sanremo. Abbiamo scelto di mantenere la stessa impronta stilistica di Bianca, anche se non mi tirerò assolutamente indietro se ci sarà la possibilità di spaziare.
Pensando a Sanremo, come ti auguri di viverlo e cosa invece vorresti evitare?
Semplicemente, visto che si parla di un palco così importante, vorrei lasciare un bel ricordo, al di là di come andrò la gara, e possibilmente vorrei evitare di steccare!